Corriere della Sera

«Le cure, i dolori, la paura Vi racconto i miei giorni passati in terapia intensiva»

- di Cesare Giuzzi

 Quando te lo dicono è come precipitar­e in un girone dell’inferno, non capisci cosa ti aspetta ed è meglio così: non è una banale influenza

«Sono ricoverata da dieci giorni. Le mie condizioni sono peggiorate: sono svenuta in due occasioni, sono a letto sotto ossigeno e assumo la terapia mattina e sera, oltre a quella endovenosa fissa. La febbre da due giorni non c’è più, ma i polmoni hanno bisogno di aiuto...».

Ospedale di Cremona, reparto Malattie infettive. Alessandra ha 56 anni, lavora come operatrice socio sanitaria nella Rsa di Maleo. Viene da Codogno, ha due figli e una nipotina. Alessandra è attaccata notte e giorno all’ossigeno, non può parlare. Racconta la sua esperienza scrivendo dal cellulare: «L’unico collegamen­to che mi è rimasto con il mondo».

Quando ha scoperto di essere positiva al coronaviru­s?

«Mi è venuta la febbre dopo una notte al lavoro: mal di ossa, tosse leggera, curata come influenza, tachipirin­a e mucolitico».

Ma non è guarita...

«Ogni giorno peggioravo. Ho chiamato il 112, ma non avevo avuto contatti con persone infette. Dopo 9 giorni di febbre alta i miei figli hanno richiamato un po’ arrabbiati. È arrivata l’ambulanza, erano tutti con la tuta...».

Quel giorno Codogno era già zona rossa.

«Ho avuto un primo ricovero a Cremona in un poliambula­torio adibito a ospedale da campo con brandine della Protezione civile. Ho fatto lì i primi esami. Quando ho avuto il risultato mi hanno spedita negli infettivi».

Cosa ha pensato quando le hanno detto la diagnosi?

«Sembrava di stare in un girone dell’inferno. Te lo dicono ma non capisci cosa ti aspetta ed è meglio così. La cura ti ammazza. Piega il tuo corpo, il mal di stomaco con nausea e vomito è lancinante, la febbre ti fa bruciare».

E adesso come sta?

«Lunedì è stata la mia giornata peggiore. Impotente davanti al ricovero di mio marito, in terapia sub-intensiva a Lodi. Non vedevo via d’uscita. Mi sentivo soffocare. Avrei voluto urlare, perché a Lodi è già ricoverato anche mio papà».

Per coronaviru­s?

«Polmonite, non ha ancora l’esito del tampone».

Si è chiesta come ha contratto il Covid-19?

«La bidella della scuola di mia nipote è risultata positiva. Le parlavo mattina e pomeriggio. Anche l’impiegata della Rsa dove lavoro è stata contagiata e ricoverata sempre qui a Cremona. Ma l’ho saputo dopo. Oppure l’ho preso altrove senza saperlo...».

In ospedale avete informazio­ni di quel che succede intorno?

«Non è ammessa alcuna visita. La stanza ha due letti, ma la tv è girata verso l’altro letto, solo lì c’è l’auricolare. Il tempo non passa mai».

E i medici?

«Entrano al mattino per la visita e sono gentili e disponibil­i. Il personale anche, ma ha disposizio­ne di entrare il meno possibile. A volte bussano dal vetro...».

Chi c’è in stanza con lei?

«Una signora molto più giovane, è ricoverata da 12 giorni. Si è aggravata, non riusciamo a parlare. Anche il mangiare... tu vorresti finirlo, invece dopo due cucchiai hai già nausea».

A cosa si pensa per superare questo momento?

«Ai miei due figli, a mio marito. Ha 58 anni, con i suoi splendidi occhi azzurri ha rallegrato le nostre vite da quando ci siamo sposati. A maggio saranno 33 anni... Alla mia nipotina di 8 anni che mi ha mandato via telefono un disegno. Ha riprodotto la stanza e le terapie, tutto con l’immaginazi­one. Ora capisce?».

Che cosa?

«Spero di essere stata chiara: questa non è una banale influenza».

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