UNO SLANCIO DI SOLIDARIETÀ PER IL «VACCINO SOCIALE»
In Italia stiamo facendo i conti con la prima epidemia di coronavirus che ha investito l’europa. Tutto lascia pensare che molti altri Paesi dovranno fronteggiare presto situazioni simili. Non avendo alcuna competenza in materia mi fido dell’opinione di virologi ed esperti in malattie infettive. Mi sembra che i loro consigli per contrastare questa infezione siano stati raccolti in qualche modo dal governo e dalle istituzioni locali e penso che la cosa migliore sia seguire le loro raccomandazioni e avere fiducia.
Voglio invece discutere un’altra questione, che nasce dalla consapevolezza che ci vorrà parecchio tempo prima di liberarci del problema. I rischi collegati a questa epidemia, per le sue conseguenze sull’economia e sul tessuto sociale del nostro Paese, sono molto elevati. Il nostro è un
Fragilità
Con il coinvolgimento di altri Paesi, noi rischiamo di pagare un prezzo molto elevato
Paese particolarmente esposto, non solo per le molte attività legate al turismo, ma soprattutto perché la nostra manifattura trasforma ed esporta; è quindi molto dipendente da flussi logistici ordinati e da un commercio mondiale dinamico. Se, come pare, l’epidemia coinvolgerà presto Francia e Germania e poi gli Stati Uniti, l’intero sistema sarà sottoposto a un terribile stress e noi, Paese fragile, rischiamo di pagare un prezzo molto elevato, col rischio di dover fronteggiare un vero e proprio sbriciolamento del tessuto sociale.
Cosa possiamo fare noi cittadini comuni per contenere questi pericoli? Passata la prima fase di angoscia, superata la reazione di paura ancestrale che ha colpito larga parte dell’opinione pubblica penso sia arrivato il momento di reagire. Ciascuno di noi lo può fare, basta inventarsi una maniera di dare una mano alla propria comunità. È il momento di inventarsi qualcosa per fare scattare in tutto il Paese quella gara della solidarietà che ha segnato la nostra storia in molte occasioni tragiche, come l’alluvione di Firenze nel ’66 o il terremoto dell’irpinia nell’80. Si possono lanciare gare di solidarietà per far sentire meno soli i nostri concittadini che vivono in isolamento e ringraziarli in qualche modo per il sacrificio che stanno facendo per noi, per cercare di contenere il contagio. Gemellarsi con i piccoli paesi della zona rossa e cercare di venire incontro alle loro esigenze. Aiutare medici e infermieri che vivono quotidianamente a contatto con la malattia; alleggerire le loro fatiche e ridurre i rischi che stanno correndo. Trasferire i malati meno gravi negli ospedali delle zone non colpite per liberare posti letto in quelli di prima linea. Ancora una volta confido che i primi a muoversi siano i giovani, come hanno dimostrato di saper fare in tante occasioni. Faccio appello soprattutto a loro. Specializzandi o studenti degli ultimi anni di medicina, possono offrirsi volontari per aiutare negli ospedali e liberare le forze più esperte per combattere il virus.
Partecipazione
Ci vorranno azioni decisive da parte dello Stato e molte risorse ma da sole non basteranno
Facciamo vedere a tutti di cosa sono capaci gli italiani quando si trovano a fronteggiare situazioni di emergenza come questa.
Certo ci vorranno anche azioni decisive da parte dello Stato, e l’iniezione di imponenti risorse per risollevare l’economia. Ma senza quello slancio di solidarietà di cui parlavo gli sforzi potrebbero essere inutili.
Se riusciremo a farlo il nostro Paese cambierà in meglio, e uscirà da questa prova con una forza maggiore. La nostra comunità potrebbe reagire al virus producendo fortissimi anticorpi contro ogni pericolo di disgregazione e tutto questo aiuterebbe a contrastare l’epidemia e a riparare i danni che da essa deriveranno. In attesa che sia veramente disponibile il vaccino reale cominciamo col mettere in circolo una sorta di «vaccino sociale».