L’infelicità di una ragazza nel mercato degli affetti
Prima opera di finzione della documentarista belga Marta Bergman, Sola al mio matrimonio è la storia triste di un mercato degli affetti e di alcune partite sentimentali che finiscono nel migliore dei casi alla pari. C’è una giovane, volgare e irrequieta ragazza, Pamela, rom single ma con bambina piccola, che annega in sogni da discoteca e desidera fuggire da casa, dalla nonna e attraccare il suo cuore in Belgio magari incontrando un uomo gentile con l’aiuto di un algoritmo in rete.
Abbandonando con dolore la sua piccola in una scena che evita la retorica ma ci commuove, la nostra irruente ragazza, senza sapere una parola di francese ma con vistoso vestito a fiori, si sistema a casa di un uomo misterioso e gentile, Bruno che, stranamente, non va all’assalto del sesso ma la rispetta e la educa come fosse in My fair lady.
Amareggiata da questo rispetto, quindi pronta a trovar miglior offerente anche se già si organizza il pranzo con i suoceri, Pamela è spesso «invasa» (con qualche inciampo narrativo che stona). Sono i ricordi di casa nella nevosa Romania, la filastrocca della nonna e altre scorciatoie di nostalgia, finché un amico s’incarica, cercandola e ritrovandola a Liegi non senza affanni con piccina a carico, di dare una svolta a una vita senza perché.
Ci sono molte storie che riguardano spose contro assegno, belle oneste emigrate Australia (per dirla all’italiana), scontri feroci di mentalità, uomini turchi che segregano in casa le spose arrivate per procura in 40 mq di Germania.
Anche questa acida bilingue commedia sentimentale è una somma di incomprensioni che non dipendono solo da usi e costumi, storia e geografia e destini sociali, ma anche dalla temperatura del verbo amare in cui la regista insegue le ragioni disinibite di Pamela, zingara in accappatoio e rossetto rosa. Da una parte c’è la ricerca basica di elementi folk etnici, dall’altra c’è la passione con cui l’autrice insegue, non da femminista semplice ma complice, il destino della sua «eroina» mancata, Alina Serban, attrice bravissima nel nascondere gli angoli remoti di una sua annunciata infelicità nascosta nel doppio fondo di una apatica voglia di conquistare indipendenza e piacere omologato a spese di tutti.
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