I medici in trincea «Gli ospedali vicini al limite»
I reparti di rianimazione sotto stress e l’annuncio: nonostante l’enorme impegno del personale sanitario una corretta gestione del fenomeno ora è impossibile
«In Lombardia siamo vicini al collasso». Parlano i medici che sono in trincea. Che sono nei reparti di rianimazione. Quelli sotto stress, che vedono i posti letto ridursi. E dicono: nonostante l’enorme impegno del personale sanitario, la situazione è davvero complicata.
Prima del nuovo decreto del governo, che ieri sera ha chiuso la Lombardia e altre 11 province, il coordinamento dei medici delle terapie intensive della Regione aveva diffuso questo drammatico appello: «L’epidemia di Covid-19 comparsa il 20 febbraio nell’area di Codogno è ormai estesa all’intera Lombardia con possibilità di diffondersi su tutto il territorio nazionale». E ancora: «Nonostante l’enorme impegno del personale sanitario e il dispiegamento di tutti gli strumenti disponibili — si legge nel documento — una corretta gestione del fenomeno è ormai impossibile». Ed ecco la conclusione: «In assenza di tempestive ed adeguate disposizioni da parte delle autorità saremo costretti ad affrontare un evento che potremo solo qualificare come una disastrosa calamità».
Da Roma era subito intervenuto il commissario per l’emergenza, Angelo Borrelli: «Le risposte saranno adeguate e proporzionate. Attiveremo tutte le risorse nazionali e potenzieremo il meccanismo delle Asl locali». Poi Palazzo Chigi ha emanato il nuovo decreto. Ma la Lombardia è in difficoltà anche nella ricettività dei reparti non dedicati al Covid. Le strutture di altre regioni, non ancora al limite, saranno chiamate a correre in aiuto.
La saturazione dei letti di rianimazione, in effetti, era una delle minacce dell’epidemia. Una buona quota di pazienti con polmonite hanno bisogno di essere ricoverati nei centri di terapia intensiva, che devono essere gestiti da personale specializzato, difficilmente intercambiabile. Oltretutto la permanenza nei centri è di lunga durata e i letti restano occupati per settimane. Il ministero della Salute in previsione di un’evenienza così grave aveva già chiesto a tutte le regioni di aumentare del 50% i posti di terapia intensiva. Così, ora stanno per aprire due strutture dedicate ai malati con Covid a Piacenza e nel Reggiano. Da Lodi a Crema a Tortona intere strutture vengono trasformate in centri Covid. In Toscana, dopo il potenziamento, il 66% di pazienti in più troverà posto nelle rianimazioni, come pure in Campania (più 55%). Un po’ indietro (più 20-30%) Calabria e Molise, dove dal 5 marzo ha chiuso il pronto soccorso del San Timoteo di Termoli per la positività di parte del personale. Già partito un appello al governo di sindaci e associazioni locali per la riapertura.
La rete sanitaria è sotto pressione. Per limitare gli ingressi in ospedale, il San Giovanni di Dio a Firenze da domani sospenderà l’accettazione dei prelievi (fatte salve le priorità) e le attività di prenotazione di primo livello al Cup. Le strutture, inoltre, faticano a riaprire i reparti che chiudono temporaneamente in seguito al passaggio di malati positivi al Coronavirus: per questo il pronto soccorso di Ariano Irpino è chiuso dall’altra notte e fino all’11 marzo è off limits l’ambulatorio di Dermatologia all’ospedale di Macerata, che riaprirà solo dopo la sanificazione. Così come i reparti di Neurologia del San Paolo di Savona e Medicina d’urgenza di Torrette (Ancona) dove i pazienti sono stati trasferiti mentre molti medici sono in quarantena.
Per fortuna, però, ci sono anche le buone notizie: da oggi riaprirà gradualmente l’ospedale di Schiavonia, chiuso dal 21 febbraio dopo il primo decesso di Coronavirus in Veneto. Anche in Piemonte criticità risolte nei nosocomi di Novi Ligure, San Luigi di Orbassano, Tortona e Molinette di Torino. Così, in Emilia Romagna, superati i problemi al Sant’orsola di Bologna, Fiorenzuola e Castel San Giovanni. Da ieri, infine, è ripresa l’accettazione al pronto soccorso del Sant’anna di Pomezia, nel Lazio, sospesa venerdì scorso.