Fabbriche e impianti, scattano gli scioperi Così la ripresa (lenta) della produzione
In questo incubo collettivo della pandemia, se c’è una categoria che si distingue per abnegazione — dopo gli infermieri e i medici in prima linea — è quella dei cassieri dei supermercati. Mentre si moltiplicano gli scioperi spontanei nell’industria, gli addetti del commercio, in gran parte donne, tengono le posizioni alla cassa. Talvolta senza valutare in modo fiscale il metro di distanza. E spesso senza mascherine. Ma tant’è: dietro alla disciplina silenziosa delle cassiere del super deve esserci anche la consapevolezza di svolgere in questa fase un servizio insostituibile. Mentre all’estero (è il caso di Tesco nel Regno Unito) il settore si sta attrezzando in previsione dell’emergenza con l’aumento delle casse self service.
Supermercati a parte, la situazione è tesa in vari settori. Ieri è sfociata spesso in scioperi spontanei. I sindacati dei bancari hanno scritto alla ministra degli Interni Luciana Lamorgese, chiedono il supporto delle forze dell’ordine per garantire il rispetto delle regole sanitarie fissate dai decreti. I chimici della Uiltec-uil — parliamo di una categoria che si distingue per un regime di relazioni industriali basato su negoziazione e confronto — ha invitato i lavoratori a scioperare in caso di mancato rispetto delle norme di prevenzione. Cosa avvenuta in alcune medie imprese. Nella logistica si sono registrati scioperi spontanei tra gli addetti dell’aeroporto di Fiumicino e del porto di Genova. Un invito ad astenersi dal lavoro è stato diffuso anche dalle organizzazioni dei rider che portano i pasti a domicilio, d’accordo nel contestare la mancanza di mascherine. Da non sottovalutare, poi, le preoccupazioni del garante sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali che ieri ha invitato le aziende del trasporto pubblico a garantire agli autisti tutti i presidi sanitari necessari proprio per evitare scioperi spontanei.
Per ora le maggiori criticità restano concentrate nel settore metalmeccanico. I segretari di Fiom, Fim e Uilm hanno chiesto che le fabbriche si fermino fino al 22 marzo per attrezzarsi al contrasto del Covid-19. Oggi potrebbero intervenire due elementi a sciogliere la tensione. L’incontro tra il premier Giuseppe Conte e i sindacati confederali, da una parte. E il varo del decreto che consentirà un più ampio utilizzo della cassa integrazione. «Le parole con cui il presidente del Consiglio ha presentato il decreto entrato in vigore ieri hanno esasperato una situazione già tesa nelle fabbriche — lamenta il segretario generale della Fiom Cgil, Francesca Re David —. Molti sono andati a lavorare senza prescrizioni chiare ed esigibili. Abbiamo imprese virtuose che hanno fatto accordi. Ma abbiamo anche aziende che decidono da sole provvedimenti che non funzionano. O ci si ferma a discutere e si mettono a norma i reparti o così non si può andare avanti».
Il Centro studi di Confindustria avverte che il blocco dell’industria «genererebbe effetti molto gravi nel sistema produttivo poiché inciderebbe sulla continuità della catena di approvvigionamento per svariate aziende». Invita alla ragionevolezza il presidente di Confindustria Emilia Romagna, Pietro Ferrari. «La giornata di ieri è stata forse la peggiore che il nostro Paese abbia vissuto dal dopoguerra. Non perdiamo la testa, prendiamoci la giornata di oggi e il fine settimana per mettere a punto in ogni realtà una modalità sostenibile».