Così ritorna in scena l’uomo delle emergenze: non potevo dire di no
Una carriera tra lodi e critiche, processi e assoluzioni
ROMA Invocato come Padre Pio, paragonato a Superman e al mister Wolf di Pulp Fiction («risolvo problemi»), ribattezzato San Bertolaso o Superguido, domani atterrerà in Italia direttamente dal Sudafrica. Settant’anni fra cinque giorni e un curriculum formato lenzuolo, macchiato da qualche ombra giudiziaria e smacchiato a colpi di assoluzioni, Guido Bertolaso è l’uomo delle grandi emergenze. Quando l’italia è a un passo dal baratro, eccolo che torna, forte di suppliche bipartisan e di un’esperienza che pochi, in materia di tragedie collettive, possono vantare. Rifiuti, inondazioni, frane, incendi. Il terremoto in Abruzzo e il G8 all’aquila. Ebola, la Sars e adesso il coronavirus.
«Come potevo non aderire alla richiesta di dare una mano nella epocale battaglia del Covid-19 se la mia storia, tutta la mia vita, è stata dedicata a servire il mio Paese?». Con queste parole Bertolaso ha detto sì alla chiamata di Attilio Fontana, che gli ha affidato l’impresa titanica di tirar su un ospedale alla Fiera di Milano, in una corsa a perdifiato per salvare più vite possibile. Una sfida da far tremare chiunque, ma non lui, che ha aperto l’ospedale Spallanzani vent’anni fa e lavorato in Sierra Leone durante la micidiale epidemia di Ebola: «Forse qualcosa di utile con il mio team spero di riuscire a farlo». Il suo compenso? Un euro, a titolo simbolico. «Non potevo non accettare, ho trascorso tutta l’esistenza dalla parte di chi è in difficoltà». Giorni fa, quando i leader del centrodestra (e Matteo Renzi) hanno chiesto al premier Giuseppe Conte di richiamarlo in servizio come supercommissario del governo, Bertolaso ha fatto sapere che sarebbe rimasto in Sierra Leone con la figlia pediatra. Ma non era un rifiuto, era che la telefonata da Pasottosegretario lazzo Chigi non è mai arrivata.
Nipote del cardinale Ruini e figlio di un aviatore, il medico con laurea alla Sapienza e master in malattie tropicali a Liverpool è per carattere un uomo di azione, sicuro di sé e poco incline alla mediazione. Più manager che politico, più di sinistra che di destra, ha nelle vene zero gocce di modestia e un carattere di ferro. Il suo motto? «Per far funzionare le cose serve una organizzazione che funzioni». Scoperto nel 1982 da Andreotti, al quale fu presentato come il «comunista travestito», è stato commissario al Giubileo del 2000 con Rutelli sindaco e
Io ho trascorso tutta la vita dalla parte di chi è in difficoltà Spero di riuscire a fare qualcosa di utile con il mio team
a Palazzo Chigi con Berlusconi. Ha guidato la Protezione civile dal 2001 al 2010, quando l’eterno maglioncino blu con lo scudetto tricolore era un cimelio nazionale. Ha scalato in mondovisione le montagne di rifiuti di Napoli con lo stesso passo con cui ha raggiunto le vette del consenso, facendo il pieno di onoreficenze. Ai tempi d’oro si disse, con qualche esagerazione, che il suo posto in classifica era «dopo il capo dello Stato e prima del Papa».
Poi lo scandalo del G8 de La Maddalena, le dimissioni dalla Protezione civile, i processi e le assoluzioni, la candidatura a sindaco di Roma per il centrodestra (naufragata nel 2016) e il ritiro dalle scene. Adesso è nonno e le foto che più ama del suo monumentale album sono quelle con la nipotina e con i bimbi dell’africa, dove ha ristrutturato scuole fatiscenti e fatto sorgere ospedali dal fango.