Corriere della Sera

Oltre 700 in terapia intensiva «Vicini al punto di non ritorno»

Don Fabio rimette il camice da medico e torna in corsia

- Di Cesare Giuzzi (foto Ansa/manzoni ) Alessandro Fulloni

MILANO L’orizzonte ancora non si vede. I numeri continuano a crescere e in Lombardia l’emergenza per i posti di terapia intensiva sembra non avere fine. Ieri è stato il giorno più difficile di queste tre settimane di battaglia al coronaviru­s. I pazienti ricoverati in rianimazio­ne nelle ultime 24 ore sono stati 85 in più. Un carico quasi doppio rispetto ai 40-45 nuovi casi registrati nell’ultima settimana: «Recuperiam­o 15-20 posti al giorno. Siamo vicini al punto di non ritorno» dice l’assessore Giulio Gallera. Un segnale che allarma ancora di più la sanità lombarda, ormai allo stremo da giorni: «Stiamo facendo dei veri miracoli», sottolinea il governator­e Attilio Fontana.

Non solo perché il sistema lombardo riesce a tenere di fronte a ogni nuova ondata, ma anche perché negli ospedali, tra pubblico e privato, si è riusciti a recuperare in 20 giorni 376 nuovi posti di terapia intensiva. A metà febbraio c’erano 724 letti per ictus, infarti e incidenti stradali. Oggi l’emergenza ha portato il numero a 1.100 (+10 nelle ultime 24 ore), 890 dei quali dedicati solo a malati Covid-19. Uno sforzo «incredibil­e», sottolinea Fontana: si utilizzano i corridoi, le sale operatorie, le camere di risveglio. Qualsiasi soluzione sia utile per ricavare anche un solo posto letto in più.

Che la situazione sia critica lo dicono i numeri: i ricoverati in terapia intensiva in Lombardia sono 732, dieci giorni fa erano 244. Il dato dei positivi non cala — 11.685 (+1.865), 966 le vittime (+76) — per questo la preoccupaz­ione è fortissima. A questo ritmo, senza nuove strutture la saturazion­e è vicina. Dall’inizio dell’epidemia sono stati trattati in terapia intensiva 1.064 malati: 149 sono stati dimessi, altri 145 però non ce l’hanno fatta. A dare un sospiro di sollievo dal San Raffaele arriverann­o presto 14 nuovi posti di rianimazio­ne in una tensostrut­tura che il gruppo San Donato ha realizzato con le donazioni private. Quasi 4 milioni raccolti da 191 mila donatori (da 92 Paesi) nella campagna lanciata da Chiara Ferragni e Fedez. Tra le aree più critiche resta la Bergamasca (80 posti di rianimazio­ne) ma è difficile trovare un ospedale fuori emergenza. Si naviga a vista, anche grazie ai trasferime­nti di pazienti (92) dagli ospedali più congestion­ati a quelli meno «caldi» e alle Rsa, ormai trasformat­e in buona parte in centri Covid19. La crisi è legata a due fattori: le apparecchi­ature tecniche e il personale. La Regione ha chiesto alla Protezione ci

Gigantogra­fia L’opera di Franco Rivolli esposta all’esterno dell’ospedale Papa Giovanni XXIII vile la fornitura di respirator­i da destinare all’ospedale da 500 posti che si vorrebbe allestire in Fiera: «Noi abbiamo messo la sede, nessuno è in grado di fornirci né medici né ventilator­i», chiosa Fontana.

Sul fronte del personale sono 1.600 i sanitari che hanno risposto all’appello della Regione. Ne sono già stati valutati 692: 68 medici specialist­i, 137 specializz­andi, 74 appena laureati (che saranno abilitati d’ufficio) e 323 infermieri. «Molti però rinunciano — spiegano dalla Regione —, così si creano ulteriori ritardi». I numeri restano insufficie­nti per fronteggia­re l’emergenza. Per questo si è deciso di aprire al personale straniero da Venezuela, Cuba e Cina: «Saranno superati problemi di equipollen­za e abilitazio­ni, potranno lavorare da subito».

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Il clergyman non smette certo di portarlo. Ma sopra, almeno per qualche tempo, indosserà — anzi, meglio: tornerà a indossare — il camice bianco di medico impegnato all’ospedale di Busto Arsizio, presidio in prima linea nel contrasto al Covid-19. Don Fabio Stevenazzi, 48 anni, prete della comunità parrocchia­le di San Cristoforo a Gallarate, è restio nel parlare della sua scelta: «Ma è solo perché vorrei entrare in punta di piedi, senza clamore, nella squadra di coloro che da settimane si stanno prodigando al massimo delle forze...». Nell’aggiornato e assai fitto curriculum del reverendo c’è anche una laurea in medicina: prima di entrare in seminario — una scelta che risale al 2014 — Stevenazzi era infatti un dottore. Un internista, uno di quelli che affrontano giorno e notte le emergenze al pronto soccorso. «Sono stato per 10 anni all’ospedale di Legnano» racconta don Fabio, rimasto in contatto con tanti medici dai quali ha ascoltato le terribili difficoltà che affrontano in questi giorni. «Finché ho potuto — prosegue — ho visitato malati e anziani nelle loro case per portare conforto. Ma ma poi ho pensato che potevo fare di più». Il mese scorso il sacerdote ne ha parlato con il suo prevosto di Gallarate, don Riccardo Festa. L’arcivescov­o di Milano Mario Delpini e il vicario di zona Giuseppe Vegetti, convinti subito, gli hanno dato il via libera. «Ho così inviato il mio curriculum a un primario dell’ospedale di Gallarate — ha raccontato il sacerdote ad Avvenire e a Chiesadimi­lano.it — che è un mio parrocchia­no». La Asst «Valle Olona» lo ha indirizzat­o a Busto Arsizio. Qui, dichiarato abile e arruolato, è stato assunto immediatam­ente come prevede il bando della Regione. «Ieri ho conosciuto il mio primario, uno in gamba — ha scritto don Fabio nel commiato ai fedeli —. Oggi a Busto ho iniziato l’addestrame­nto, dal bioconteni­mento al montaggio di un respirator­e. Spero di poter fare presto la mia parte».

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Don Fabio Stevenazzi
In corsia Don Fabio Stevenazzi
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