«I miei bimbi qui nell’artico giocano fuori a -20 gradi» Il fotografo Unterthiner vive da sette mesi con la sua famiglia alle isole Svalbard: «Racconto i fiordi che non gelano più»
R emì ha 6 anni, da sei mesi vive con mamma e papà e la sorellina Bahia alle Isole Svalbard. A scuola, ha già imparato il norvegese. O meglio: lo capisce così bene da insegnare ai genitori qualche parola. Pochi giorni fa si è infilato giaccavento e berretto per seguire papà Stefano in piazza, unendosi alla folla di abitanti che festeggiavano — a Longyearbyen, la più grande cittadina a Nord del Circolo Polare Artico — il ritorno del Sole dopo sei mesi di buio. Peccato una bufera di vento quasi nascondesse la palla dorata. «Potrà sembrarvi strano, ma i bambini si sono adattati più in fretta di noi — racconta Stéphanie mentre gioca in salotto con la piccola Bahia, 2 anni —. Si trovano molto bene. Il norvegese non sembra più un problema: davvero sono loro a tradurmi le parole dei libri che leggiamo». Gli Unterthiner sono la «Famiglia nell’artico» che da sette mesi racconta sui social network la propria straordinaria avventura tra i ghiacci: una sfida nata dalla volontà di osservare da vicino e raccontare i cambiamenti climatici.
Isole sperdute, ma c’è turismo
Partiti dall’italia (risiedono abitualmente in Valle d’aosta), Stefano Unterthiner, moglie e figli resteranno nell’arcipelago fino all’estate prossima: un anno intero in questo luogo apparentemente sperduto, dove però, nella bella stagione, arrivano 3 voli al giorno carichi di turisti. «Siamo venuti qui — spiega — per documentare i cambiamenti climatici». Perché Stefano, fotografo naturalista, e Stéphanie hanno fiducia nel fatto che «più si parla dei pericolosi mutamenti ambientali, in corso per colpa dell’uomo, più potrà crescere una coscienza ecologica». La Norwegian Environment Agency rileva che in mezzo secolo la temperatura alle Svalbard è aumentata di 5,6° C. Nello stesso periodo l’incremento globale nel mondo è stato di 0,87° C. «Ecco perché abbiamo scelto di venire qui, a raccontare cosa sta accadendo».
La memoria dei cacciatori
«Abbiamo dedicato i primi mesi del progetto a familiarizzare con il luogo, a studiarlo. Adesso, col ritorno della luce dopo la lunga notte artica, comincia la parte più interessante del mio lavoro: raccontare l’artico come l’ho vissuto, quel che sta cambiando e quel che si rischia di perdere», sottolinea Stefano. E, per farci capire che lassù non si vive fuori dal mondo, insiste: «Un po’ come il Coronavirus non era una questione cinese, il cambiamento climatico non è una questione artica». Citazione non casuale, dato che l’emergenza Covid-19 ha colpito anche la Norvegia, finora con 900 contagiati. «Longyearbyen non è cosi isolata, anzi è una destinazione piuttosto frequentata in questo periodo — interviene Stéphanie —. Il turismo è il principale motore economico delle Svalbard. Anche se con la crisi attuale c’è già un 20% di prenotazioni cancellate».
La città ha preso provvedimenti, mettendo a disposizione delle case lontane dal centro per ospitare eventuali stranieri in quarantena. «Così come il Coronavirus si sta sviluppando ovunque, anche il cambiamento climatico è una questione mondiale — riprende Stefano — solo che i tempi sono quelli geologici del surriscaldamento globale, che pure sta accele
rando, a causa dell’uomo. Nel brevissimo (geologicamente) spazio di un secolo, o meno, nell’artico si compiranno sconvolgenti eventi legati allo scioglimento del ghiaccio marino». Ma attenzione, quel che accade alle Svalbard non resta alle Svalbard: «Vogliamo accendere un faro sul climate change usando l’avventura della nostra famiglia per catalizzare l’attenzione, riuscire a far riflettere, divulgare con empatia l’urgenza di agire per salvare il Pianeta».
Per questo nei mesi trascorsi oltre il Circolo Polare, Stefano Unterthiner ha cercato di incontrare più persone possibili: ricercatori scandinavi e americani, anziani cacciatori, famiglie sull’arcipelago da generazioni... «Il cambiamento climatico non si riesce a percepire in poche settimane, ma lo puoi capire nei racconti di chi vive qui da trent’anni, legati a un quotidiano che c’era e non c’è più. Le piogge invernali, il fiordo davanti al paese che non
gela più, e quelle escursioni in barca durante le quali trovi molto più difficilmente il ghiaccio marino». Le conseguenze di questi sconvolgimenti legati all’effetto serra «avranno un peso anche alle nostre latitudini».
Intanto le si vedono, pesanti, sulla fauna locale: dopo gli orsi bianchi, messi a rischio dallo scioglimento del 29% dei ghiacci dell’arcipelago — una popolazione di 300 plantigradi destinata a migrare più a Nord, dove la ricerca del cibo sarà ancora più difficile, o a perire —, alle Svalbard stanno iniziando a soccombere ai cambiamenti climatici anche le renne: lo scorso luglio, ricercatori dell’istituto polare norvegese hanno rinvenuto i corpi di 200 animali morti di stenti. «Ne ho viste e fotografate diverse. Quest’inverno è stato più freddo del precedente, ma spesso ormai, anziché neve, arrivano piogge. E se cade pioggia a terra, dopo poco gela: lo strato ghiacciato che si forma è troppo alto, le renne non riescono più a romperlo con gli zoccoli per brucare i licheni».
In giro con i Suv a gasolio
Nel suo prossimo libro Stefano racconterà lo scorrere delle stagioni nell’artico, «intrecciato con un racconto personale su quello che è il nostro vissuto, il lavoro sul campo, le testimonianze, alcuni dati scientifici». Che cosa lo ha colpito di più? «Amo gli spazi selvaggi; mi colpisce il silenzio assoluto che si percepisce qui. Mentre della gente mi continua a sorprendere la varietà di motivazioni che ha portato una simile mescolanza di etnie a Longyearbyen: filippini, americani, tedeschi con storie più o meno strane e progetti. Eppure integrati in una società ultramoderna dove non ci sono diffidenze». Ma la modernità ha i suoi difetti: qui la gente (a parte i giovani) non ha coscienza ambientalista; riscaldano le case senza badare a quanto inquinano, usano grossi Suv.
In compenso i ragazzi delle Svalbard sono connessi al mondo e seguono, in molti, gli insegnamenti di Greta Thunberg. Erano tutti in strada a manifestare nella protesta che Stefano ha immortalato in una foto postata sul profilo Instagram della Famiglia nell’artico, veicolato da 7, il magazine del Corriere. Questa come altre fotografie raccontano meglio di ogni parola i primi otto mesi degli Unterthiner alle Svalbard. E i suoi ragazzi, Stefano? «Mi stupisco ancora oggi della facilità con cui Remì e Bahia si sono abituati alla nuova realtà e ad una notte che dura mesi. E di come affrontano il clima. Io percepisco la durezza del lavorare in questi luoghi in autunno e inverno: sono settimane che fa meno 20-25; siamo arrivati a meno 33. Abbastanza pesante». Eppure qui «i bambini mi sembrano più autonomi: si vestono da soli, vanno a scuola da soli — nota Stéphanie —. Passano tanto tempo all’aperto anche se fa -20°C. E non si sono mai ammalati, al contrario degli anni di asilo in Italia».
Remì che pulisce la natura
Mamma e papà ripetono che Remì e Bahia parlano in norvegese «senza timore», cosa che consente al più grande di non perdersi una festa di compleanno. Ma quanto capiscono del cambiamento climatico? «Posto che non trovo giusto allarmare i bambini (dovrebbero crescere spensierati) — avverte Stéphanie — i piccoli studiano a scuola gli animali e le conseguenze dell’inquinamento da microplastiche... non il climate change. Parliamo spesso con loro di tematiche ambientali, come della nostra scelta vegetariana, del perché compriamo una cosa o no, della necessita del ri-uso, del riciclaggio. Individuiamo i comportamenti sbagliati (chi sporca, inquina, spreca): a Rémi piace raccogliere i rifiuti, pulire la natura. Ma sono troppo piccoli per capire tutti i processi e le conseguenze del cambiamento globale».
Ora che è tornata la bella stagione papà Stefano andrà di nuovo a caccia di storie di animali, uomini e terre selvagge. «Resto comunque un fotografo — conclude —, che cerca di avvicinare l’uomo alla natura. Proverò a farlo anche da qui: a far capire quanto rischiamo a causa dell’effetto serra, a convincervi che dobbiamo riconsiderare il nostro rapporto con la natura e le altre specie».
La terra selvaggia
«Mi colpisce il silenzio assoluto che ti circonda. Ma a causa del cambiamento climatico anche le renne iniziano a soccombere»