Lettera sul futuro a due bambini
Un bambino lontano, un altro che deve nascere. E un padre che scrive a entrambi mentre intorno niente è come prima
Un figlio lontano. Un altro che deve ancora nascere. E in questo mondo stravolto posso regalare solo la forza di un «quando».
«Come stai?» È strano: quello che fino a ieri era solo un convenevole, oggi acquista un significato pregnante, pesante e, soprattutto, reciproco. Perché il tuo benessere è condizione essenziale del mio. E della mia speranza. Io sto bene, se ciò può rassicurare. Mi trovo in Puglia. Per caso. Io e Sara siamo arrivati il giorno prima della tempesta, con una sola valigia per due, per presentare il mio ultimo libro in un tour che ho subito interrotto. Io, Sara e il suo pancione, programmato per una nascita che non aspetterà l’esito di questa crisi. Il mio bambino presto arriverà in questo mondo malato. E non era questo il mondo che avevamo preparato per lui.
Siamo a casa dei miei genitori, a condividere la mia stanza di ragazzo: il luogo da cui sono scappato per realizzare i miei sogni adesso è diventato il rifugio più sicuro. Ancora per quanto?
Di là c’è la mia mamma, che da anni sopravvive in un letto, sospesa su un confine sottile. E il mio papà che da anni si muove leggero su quella linea, attento a preservarla da ogni scossone. Lei parla una lingua
Sorpresi dal tempo
Quando è scoppiata la tempesta del virus ero in Puglia con la mia compagna incinta. Siamo a casa dei miei, a condividere la mia stanza di ragazzo: il luogo da cui sono scappato ora è il mio rifugio
che solo lui riesce a comprendere. O forse è lui che parla e pensa anche per lei, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. Fino a qualche giorno fa, le ormai introvabili mascherine erano l’unica, sottile barriera che separava mamma dal mondo. Adesso quella barriera è caduta e ogni nostro respiro diventa un agguato.
Il mio primogenito, l’amore grandissimo del suo papà, cinque anni lo scorso febbraio, era all’estero con la sua mamma quando è scoppiata la pandemia. Adesso è ancora lì, in attesa. Mi manca, però monitoro la situazione e mi dico che forse per ora è al sicuro. Non so quando lo rivedrò. Improvvisamente, il tempo ha iniziato a scorrere diversamente. È così per tutti. Non ha semplicemente rallentato, si è dilatato. Adesso la parola più usata è «quando». Con o senza punto di domanda: il segno d’interpunzione fa una differenza abissale fra il coraggio e la paura. Il «se», invece, è diventata una parola impronunciabile, impensabile. Ma siccome le parole sono ancora la cosa più preziosa che posseggo, ogni sera la mamma del mio dolcissimo bambino gli posa il cellulare sul cuscino e io gli racconto una fiaba per telefono e riconosco il suo respiro che cambia appena si addormenta. Quel respiro mi tiene in vita.
Per anni, durante le presentazioni, ho fatto un esempio al pubblico per chiarire bene i confini fra bene e male, intorno e dentro ognuno di noi. «Se una cometa puntasse contro la Terra, cosa faremmo? Come diventeremmo? Terremmo fede alla nostra indole o ci trasformeremmo approfittando dell’improvvisa anarchia?» Perché quel pezzo di roccia incandescente che arriva dalle profondità dello spazio ci rivelerebbe, inevitabilmente, chi siamo.
Ebbene, eccola la cometa. È arrivata. Non è gigantesca. Al contrario, è invisibile a occhio nudo. È un piccolo sole che ci brucia da dentro. Ci ha trasformati? Forse sì. E forse lo farà ancora. Forse ci rivelerà ciò che non avremmo mai voluto sapere degli altri. E di noi stessi.
Tuttavia, le va riconosciuto il merito di aver reso inutile la rabbia che ha contaminato le nostre esistenze negli ultimi anni. Una rabbia che però potrebbe tornare a esplodere, più forte di prima. Ha annullato il rancore, o forse l’ha solo sopito. Ha reso la dicotomia bene-male insufficiente a spiegare la nostra natura.
Mentre ora tutti cantano l’inno nazionale, questo virus ha ridicolizzato il concetto di frontiere. La tanto temuta invasione alla fine è avvenuta e i profughi adesso siamo noi. E casa nostra è diventata terra straniera. Il virus ha compiuto il miracolo di renderci, da questo punto di vista almeno, davvero tutti uguali, ha annullato le differenze di razza, sesso o religione. Ma a che prezzo dobbiamo riscoprire la bellezza della nostra umanità? La cultura, le tradizioni sono state spazzate via da uno starnuto, lasciandoci l’amara consapevolezza di essere solo i provvisori abitanti di un piccolo sasso alla deriva nell’universo.
Per anni, abbiamo cercato di nascondere la nostra vera natura dietro il paravento dell’arte o della scienza e della tecnica. Quando invece sappiamo bene di essere creature egoiste, spietate e sanguinarie. Che cercano di sopraffarsi l’un l’altro, nella corsia di un ospedale come in quella di un supermercato. I nostri rapporti sono determinati solo dalla ricerca di una convenienza, di un vantaggio. Perché l’unica idea che conta è la nostra. E ci dividiamo in due categorie di pensiero. Quelli che vogliono demolire l’opinione altrui con la dittatura e quelli che cercano di steriliz