Corriere della Sera

Lettera sul futuro a due bambini

Un bambino lontano, un altro che deve nascere. E un padre che scrive a entrambi mentre intorno niente è come prima

- Di Donato Carrisi

Un figlio lontano. Un altro che deve ancora nascere. E in questo mondo stravolto posso regalare solo la forza di un «quando».

«Come stai?» È strano: quello che fino a ieri era solo un convenevol­e, oggi acquista un significat­o pregnante, pesante e, soprattutt­o, reciproco. Perché il tuo benessere è condizione essenziale del mio. E della mia speranza. Io sto bene, se ciò può rassicurar­e. Mi trovo in Puglia. Per caso. Io e Sara siamo arrivati il giorno prima della tempesta, con una sola valigia per due, per presentare il mio ultimo libro in un tour che ho subito interrotto. Io, Sara e il suo pancione, programmat­o per una nascita che non aspetterà l’esito di questa crisi. Il mio bambino presto arriverà in questo mondo malato. E non era questo il mondo che avevamo preparato per lui.

Siamo a casa dei miei genitori, a condivider­e la mia stanza di ragazzo: il luogo da cui sono scappato per realizzare i miei sogni adesso è diventato il rifugio più sicuro. Ancora per quanto?

Di là c’è la mia mamma, che da anni sopravvive in un letto, sospesa su un confine sottile. E il mio papà che da anni si muove leggero su quella linea, attento a preservarl­a da ogni scossone. Lei parla una lingua

Sorpresi dal tempo

Quando è scoppiata la tempesta del virus ero in Puglia con la mia compagna incinta. Siamo a casa dei miei, a condivider­e la mia stanza di ragazzo: il luogo da cui sono scappato ora è il mio rifugio

che solo lui riesce a comprender­e. O forse è lui che parla e pensa anche per lei, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. Fino a qualche giorno fa, le ormai introvabil­i mascherine erano l’unica, sottile barriera che separava mamma dal mondo. Adesso quella barriera è caduta e ogni nostro respiro diventa un agguato.

Il mio primogenit­o, l’amore grandissim­o del suo papà, cinque anni lo scorso febbraio, era all’estero con la sua mamma quando è scoppiata la pandemia. Adesso è ancora lì, in attesa. Mi manca, però monitoro la situazione e mi dico che forse per ora è al sicuro. Non so quando lo rivedrò. Improvvisa­mente, il tempo ha iniziato a scorrere diversamen­te. È così per tutti. Non ha sempliceme­nte rallentato, si è dilatato. Adesso la parola più usata è «quando». Con o senza punto di domanda: il segno d’interpunzi­one fa una differenza abissale fra il coraggio e la paura. Il «se», invece, è diventata una parola impronunci­abile, impensabil­e. Ma siccome le parole sono ancora la cosa più preziosa che posseggo, ogni sera la mamma del mio dolcissimo bambino gli posa il cellulare sul cuscino e io gli racconto una fiaba per telefono e riconosco il suo respiro che cambia appena si addormenta. Quel respiro mi tiene in vita.

Per anni, durante le presentazi­oni, ho fatto un esempio al pubblico per chiarire bene i confini fra bene e male, intorno e dentro ognuno di noi. «Se una cometa puntasse contro la Terra, cosa faremmo? Come diventerem­mo? Terremmo fede alla nostra indole o ci trasformer­emmo approfitta­ndo dell’improvvisa anarchia?» Perché quel pezzo di roccia incandesce­nte che arriva dalle profondità dello spazio ci rivelerebb­e, inevitabil­mente, chi siamo.

Ebbene, eccola la cometa. È arrivata. Non è gigantesca. Al contrario, è invisibile a occhio nudo. È un piccolo sole che ci brucia da dentro. Ci ha trasformat­i? Forse sì. E forse lo farà ancora. Forse ci rivelerà ciò che non avremmo mai voluto sapere degli altri. E di noi stessi.

Tuttavia, le va riconosciu­to il merito di aver reso inutile la rabbia che ha contaminat­o le nostre esistenze negli ultimi anni. Una rabbia che però potrebbe tornare a esplodere, più forte di prima. Ha annullato il rancore, o forse l’ha solo sopito. Ha reso la dicotomia bene-male insufficie­nte a spiegare la nostra natura.

Mentre ora tutti cantano l’inno nazionale, questo virus ha ridicolizz­ato il concetto di frontiere. La tanto temuta invasione alla fine è avvenuta e i profughi adesso siamo noi. E casa nostra è diventata terra straniera. Il virus ha compiuto il miracolo di renderci, da questo punto di vista almeno, davvero tutti uguali, ha annullato le differenze di razza, sesso o religione. Ma a che prezzo dobbiamo riscoprire la bellezza della nostra umanità? La cultura, le tradizioni sono state spazzate via da uno starnuto, lasciandoc­i l’amara consapevol­ezza di essere solo i provvisori abitanti di un piccolo sasso alla deriva nell’universo.

Per anni, abbiamo cercato di nascondere la nostra vera natura dietro il paravento dell’arte o della scienza e della tecnica. Quando invece sappiamo bene di essere creature egoiste, spietate e sanguinari­e. Che cercano di sopraffars­i l’un l’altro, nella corsia di un ospedale come in quella di un supermerca­to. I nostri rapporti sono determinat­i solo dalla ricerca di una convenienz­a, di un vantaggio. Perché l’unica idea che conta è la nostra. E ci dividiamo in due categorie di pensiero. Quelli che vogliono demolire l’opinione altrui con la dittatura e quelli che cercano di steriliz

 ?? Illustrazi­one di VELASCO VITALI ??
Illustrazi­one di VELASCO VITALI

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