«Pochi guanti, 20 mascherine Non siamo protetti bene»
«Consiglio e rassicuro: ci si improvvisa psicologi»
La (seconda) laurea in Medicina, la specializzazione conclusa il 9 gennaio, i primi pazienti accolti in studio a Milano il 3 febbraio. E appena due settimane dopo è scoppiata l’epidemia. Erika Conforti, 35 anni, è una dei medici di famiglia in prima linea — ma con le armi spuntate — nella battaglia contro il Covid19. Dall’inizio dell’emergenza ha rivoluzionato l’ambulatorio. «Ricevo su appuntamento facendo entrare un paziente alla volta — racconta — e avvisandolo della necessità di mascherina. Stimolo la comunicazione via telefono e invio le ricette via mail, quando possibile». E per chi ha febbre o sintomi respiratori? «Li seguo per telefono. Per chi ha avuto contatti con un positivo, attivo la quarantena e segnalo il caso all’ats (ex Asl, ndr). Ma i tamponi vengono fatti solo in ospedale». In questi giorni i pazienti sono spaventati e la contattano anche per sintomi lievi. «Da una parte la paura è un bene perché sprona al rispetto delle regole. Dall’altra i pazienti chiedono e ci ringraziano per il supporto psicologico». Conforti è anche guardia medica e in questa veste le è capitato di visitare malati di Covid-19. «Come medici di continuità assistenziale ci sono stati forniti mascherine ffp3 o ffp2, guanti e camici monouso». Come medici di famiglia, invece, «abbiamo ricevuto solo 20 mascherine chirurgiche, un pacchetto di guanti e una bottiglietta di disinfettante». Così è impossibile visitare da vicino chi ha sintomi sospetti. Erika non teme di ammalarsi, «il rischio fa parte del lavoro. Ho scelto di fare il medico perché aiutare la gente è per me carica vitale, ma vorrei evitare di essere veicolo di infezione per altri».
d Ricevo su appuntamento facendo entrare un paziente alla volta e invio le ricette via mail, quando è possibile
d Basta un po’ di tosse e scatta la chiamata e c’è chi chiede come comportarsi con gli anziani che abitano con lui
«All’inizio mi chiedevano se gli animali trasmettevano il virus, ora per fortuna c’è un po’ più di consapevolezza. Ma il nostro modo di lavorare è cambiato, oltre a occuparci delle malattie, siamo diventati un po’ sociologi e un po’ psicologi». Bruno Sacchetti dal suo ambulatorio vicino alla Darsena di Rimini ne ha viste in 40 anni da medico di famiglia. E purtroppo ha visto anche tanti riminesi a passeggio, due domeniche fa, in barba ai divieti. «Il coronavirus mi ha cambiato la vita e anche l’approccio al medico di base è cambiato», ammette. Il capoluogo romagnolo è il terzo in regione per numero di contagi e decessi, dopo Piacenza e Parma. Sacchetti segue 1.500 pazienti, il massimo consentito. La prima chiamata al cellulare è alle 7.30 e il telefono continua a squillare fino alle 21. Persino il sabato e la domenica. «Mi chiamano anche solo per essere rassicurati, basta un po’ di tosse e scatta la chiamata, ma è il nostro compito, non mi tiro certo indietro», confida il dottore. «Telefonano anche solo per chiedere come usare l’autocertificazione per gli spostamenti o se possono recarsi a trovarsi un conoscente, oppure ancora come devono comportarsi con gli anziani che abitano con loro». La preoccupazione è tanta e Sacchetti offre il suo supporto. «Continuo, come d’altronde i miei colleghi, a ribadire le norme basilari per evitare il diffondersi del contagio: stare in casa, mantenere le distanze, lavarsi le mani... oggi ci ritroviamo a occuparci delle salute dei pazienti non solo prescrivendo terapie o medicinali, ma ripetendo loro di seguire norme di buon senso».