Il grido di Zaki: «Fatemi uscire»
Udienza rinviata in Egitto, preoccupazione per la salute dello studente. Il suo appello: «Voglio studiare»
Dalla sua cella affollatissima (35 persone in pochi metri quadri) Patrick Zaki, lo studente egiziano iscritto ad un master sugli studi di genere all’università di Bologna e detenuto in patria dal 7 febbraio, lancia un appello accorato al mondo: «Fatemi uscire il prima possibile da qui, voglio tornare all’università a studiare» .
E in molti raccolgono il suo grido d’aiuto. Dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, Erasmo Palazzotto, che scrive su Twitter: «L’egitto liberi Zaki, subito» ad Amnesty International. «O adesso o mai più — dice al Corriere Riccardo Noury, portavoce della Ong in Italia — le condizioni di sovraffollamento e di scarsa igiene sono l’ambiente ideale per il proliferare del coronavirus, l’iran, per esempio, ieri ha scarcerato quasi 80mila prigionieri. Speriamo che l’egitto faccia lo stesso al più presto».
Il ragazzo, che ha 27 anni, è accusato di diffusione di fake news attraverso i social media, istigazione alla protesta, sovvertimento del sistema politico vigente e della sicurezza nazionale. Capi d’imputazione che potrebbero costargli 25 anni di prigione e che gli sono valsi il trasferimento nel carcere di Tora, il maxi complesso penitenziario alla periferia del Cairo, grande quanto un intero quartiere di Milano e con la temuta sezione di massima sicurezza Scorpione. Una piccola bolgia affollata da cui è necessario tirarlo fuori, soprattutto ora. «È un luogo dove Zaki non avrebbe mai dovuto mettere piede perché è un prigioniero di coscienza — sottolinea Noury — ora il rischio è che con l’epidemia da coronavirus si blocchi tutto il sistema giudiziario per mesi».
A mettere nei guai lo studente è stato il suo attivismo politico legato all’opposizione del milionario Muhammad Ali. Un anno e mezzo fa il ragazzo in un’intervista diceva: «Il governo egiziano limita il dissenso». E poi ci sono i post su Facebook: «Ogni giorno la popolazione subisce violazioni di ogni tipo». E ancora: «Voci contrarie non sono ammesse. Noi ong subiamo minacce e il dissenso viene impedito». E infine: «Ci battiamo per i nostri diritti, ma anche per Giulio Regeni». Parole che un regime come quello del presidente Al Sisi non può tollerare.
Che la situazione in prigione stia precipitando lo testimoniano gi amici, gli stessi che hanno diffuso il suo appello. L’altroieri, raccontano, a Patrick è stata perfino negata la consegna di prodotti per l’igiene personale e di cibo da parte della famiglia. I genitori hanno potuto vederlo solo una settimana fa perché le visite ai detenuti sono sospese.
Proprio a causa dell’allarme per il Covid-19 lunedì è stata rinviata l’ennesima udienza che avrebbe dovuto decidere lse rinnovare o no la detenzione preventiva dello studente. Inizialmente era prevista per il 21 marzo, poi è stata precipitosamente anticipata e, infine, è saltata per via della chiusura imposta dall’egitto alle carceri nel tentativo di limitare il diffondersi del contagio. «Al momento — spiega la senatrice del M5S Michela Montevecchi — non è dato sapere se e quando si terrà il prossimo incontro in tribunale. Con le carceri chiuse agli osservatori internazionali e i processi rimandati si ha una sospensione di qualsiasi strumento di monitoraggio».