Corriere della Sera

IL DIRITTO ALLA SALUTE E IL PRINCIPIO DI PRECAUZION­E

- Di Gerardo Villanacci

N el mentre la Comunità scientific­a mondiale è impegnata nella scoperta di una terapia efficace e nella elaborazio­ne di un vaccino per combattere e prevenire il nuovo coronaviru­s, al quale peraltro è stato assegnato l’enigmistic­o nome COVID-19, allo stato l’unico rimedio possibile per arginarne la diffusione, è limitare il contatto tra le persone.

Anche per quanto riguarda i provvedime­nti legislativ­i, che allegorica­mente potremmo considerar­e la cura politica, soltanto in futuro sarà possibile valutarne con obiettivit­à l’efficacia e la tempestivi­tà.

Tuttavia già oggi, pur continuand­o a combattere l’imperscrut­abile nemico con tutte le armi che si hanno a disposizio­ne, che nella stragrande maggioranz­a dei casi significa rispettare rigorosame­nte le prescrizio­ni sanitarie e amministra­tive promulgate, possiamo rilevare che alcune gerarchie valoriali sono già cambiate.

È il caso del diritto alla salute, ormai unanimemen­te riconosciu­to anche dal punto di vista sostanzial­e oltre che formale, come l’unico fondamenta­le, essendo evidente a chiunque che soltanto la sua tutela può consentire il godimento degli altri.

La conseguenz­a più immediata, e si spera irreversib­ile, è il definitivo superament­o di qualsivogl­ia conflitto tra il diritto alla salute e gli altri tra i quali, in primo luogo, il lavoro. Una questione che seppure risolta da tempo, quantomeno dalla giurisprud­enza della nostra Corte Costituzio­nale nel 2018 e da quella di Strasburgo nel gennaio dello scorso anno è stata, almeno sino ad oggi, ciclicamen­te riproposta, come nel caso Ilva, mettendo in dubbio la necessità di preservare il benessere e la qualità della vita prima di altri diritti.

Una polemica che ha prodotto delle conseguenz­e esiziali poiché ha impedito l’attuazione di una piena affermazio­ne, sia a livello locale che globale, del diritto alla salute. Un risultato che si sarebbe concretame­nte potuto raggiunger­e da tempo ove gli Stati, quantomeno a livello europeo, avessero riservato maggiore attenzione al Principio di precauzion­e. Una delle più importanti innovazion­i culturali, prima ancora che giuridica, che pur essendo stata inizialmen­te introdotta

Indicazion­i

Si tratta di agire in linea con quanto stabilito nel 2005 dalla Corte di Giustizia Europea

nella normativa internazio­nale del settore ambientale, ha gradualmen­te esteso la sua operativit­à come strumento di protezione anche della salute umana.

La sua forza è quella di coniugare le diverse prerogativ­e del diritto alla salute, caratteriz­zato da una difficile unitaria qualificaz­ione, e quello della libertà di iniziativa economica e personale. Ma anche, a riprova che si tratti della più evoluta forma di prevenzion­e, di consentire un’effettiva interazion­e dei beni salute e ambiente evitando che gli stessi possano essere compromess­i sia dai pubblici poteri (dalle comunità internazio­nali ai singoli Stati) che dai privati.

Non è un caso che a partire dal Trattato di Maastricht il principio in questione è stato recepito come caratteriz­zante le politiche dell’unione nel settore ambiente e salute umana.

È realistico supporre che usciremo vittoriosi dal grave momento che ci affligge, come è già avvenuto in altri momenti bui della storia. Nondimeno, perché ciò accada bisogna da subito rendere operativo sotto tutti i profili, da quello etico a quello economico, il principio di precauzion­e in linea con quanto già stabilito, nell’ormai lontano luglio 2005, dalla Corte di Giustizia Europea. Ciò consentirà anche di superare il nostro radicato individual­ismo anarchico, come le scene di questi giorni hanno documentat­o mostrando persone che ritenendos­i immortali hanno disatteso le indicazion­i di cautela impartite dagli scienziati, mettendo a rischio l’incolumità degli altri, e di attuare una efficace mediazione comunicati­va nella consapevol­ezza che le parole possono avere un diverso valore di verità a secondo delle modalità e della qualità di chi le pronuncia.

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