Corriere della Sera

Breve elogio dell’isolamento (se temporaneo)

- di Massimo Sideri

Il 1815 passò alla storia come l’anno senza estate: pesanti sconvolgim­enti del clima causati dall’eruzione spaventosa di un vulcano in Asia causò freddo, buio e carestie in tutto il Nord Europa. Il freddo spinse le persone ad isolarsi nelle case anche nell’estate del 1816 e fu proprio così che, rinchiusi nel castello di Lord Byron, Mary Shelley scrisse Frankenste­in e il medico personale del poeta inglese, John William Polidori, produsse il Vampiro. Sempre nello stesso anno un conte di nome Drais inventò quella che avrebbe poi preso il nome di draisina, la bicicletta senza pedali. Un elogio dell’isolamento — anche se forzato come quello a cui si sta apprestand­o il mondo occidental­e sul modello italiano — non finisce qui. Sono innumerevo­li i casi di «virtù» dell’isolamento. Lo stesso Dante Alighieri si dedicò al suo immortale capolavoro in seguito al sostanzial­e fallimento della sua carriera politica da guelfo. Dopo il tradimento dell’amico Guido Cavalcanti nessuno si fidò più di lui e finì in esilio. «Come sa di sale lo pane altrui». Certo. Però scrisse la Divina Commedia. D’altra parte nel 1347 la Peste nera entrata a Firenze influenzò il Decamerone di Boccaccio. Ma ci sono anche altri esempi molto più vicini a quello che stiamo vivendo. L’isolamento in spazi ristretti per pochi giorni ispirò a Neil Armstrong una delle frasi più belle di sempre: «Un piccolo passò per un uomo, un grande passo per l’umanità». Sempre in tema di isolamento possiamo ricordare la sventura occorsa all’equipaggio dell’endurance che rimase bloccata tra i ghiacci al Polo Sud durante la Prima guerra mondiale. Ernest Shackleton salvò tutti e scrisse uno dei migliori libri di avventura che possiate leggere, prosa a parte. Peraltro il tema è studiato anche in questo momento dalla scienza perché con le attuali tecnologie ci vorrebbero oltre venti mesi per andare e tornare dalla Terra a Marte, obiettivo dichiarato dagli Stati Uniti per i prossimi decenni. Consideran­do che bisognereb­be aggiungere almeno un anno o più da passare sul Pianeta Rosso ecco compresa l’importanza per gli astronauti di abituarsi a stare con se stessi. La solitudine fu virtuosa anche per il Leopardi, anche se causò come controindi­cazione il pessimismo cosmico. Forse perché durò troppo. Che isolamento sia, dunque, purché temporaneo.

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