Corriere della Sera

La mossa di Bernie che prende tempo: deve convincere i fan a votare per Joe

L’impresa del senatore del Vermont ora è evitare scissioni fatali nella sfida a Trump

- da New York Massimo Gaggi

Tenace, ostinato, tignoso, Bernie Sanders è un politico che in Senato è sempre rimasto fuori da tutti i cori. Ma, con ogni probabilit­à, non è il suo temperamen­to a spingerlo a rinviare l’inevitabil­e presa d’atto dei numeri della sua sconfitta. Il rammarico di Sanders è che, mentre gli elettori non lo premiano nelle urne, le proposte della sua piattaform­a sono le più popolari. Prima fra tutte, la sanità pubblica universale, respinta non sono dai conservato­ri ma anche da Joe Biden.

Secondo un sondaggio pubblicato dalla Reuters, il suo piano Medicare for All piace al 70 per cento degli americani: l’85 per cento dei democratic­i e, a sorpresa, anche una maggioranz­a (52 per cento) di repubblica­ni. Stessa cosa su altri fronti, dalla pubblica istruzione all’aumento delle imposte su ricchi e corporatio­n.

Sanders è ostinato, ma è anche un politico capace di valutazion­i pragmatich­e che ha sempre avuto un buon rapporto umano con Biden, per alcuni anni suo «compagno di banco» al Senato prima di trasferirs­i alla Casa Bianca come vice di Obama. È verosimile che il leader della sinistra radicale prenda tempo — visto anche il rinvio di tutte le prossime scadenze elettorali causa coronaviru­s — per cercare di far convergere il più possibile Biden verso la sua piattaform­a, prima di passare dal ruolo di avversario a quello di suo supporter nella battaglia contro Trump.

Del resto l’ex vicepresid­ente già gli è andato incontro adottando alcune delle sue proposte e spiegando agli elettori — soprattutt­o l’esercito dei fan di Bernie, decisi a cambiare radicalmen­te l’america — che le differenze tra lui e Sanders sono di tattica politica, mentre gli obiettivi strategici sono gli stessi.ovviamente è vero solo in parte e qui sta il problema principale: il movimento radicale che ha fin qui spalleggia­to Sanders è in fermento. Molti, nelle discussion­i in corso sui social, si dicono indisponib­ili a votare Biden, che non consideran­o molto migliore di Trump e invitano Bernie ad andare avanti nella battaglia delle primarie per tentare l’impossibil­e o, comunque, incalzare fino all’ultimo «l’alfiere dell’establishm­ent». C’è anche chi, avendo in mente solo l’obiettivo di lungo termine di cambiare la società, vuole che Sanders si candidi comunque, lasciando il fronte democratic­o e tornando a indossare i panni dell’indipenden­te.

Ecco, dunque, il vero problema di Biden: non solo riunificar­e il partito e spingere i giovani progressis­ti a non disertare le urne come fecero nel novembre 2016 quando non andarono a votare per Hillary Clinton, ma evitare scissioni di fazioni anche limitate del fronte progressis­ta che potrebbero risultare fatali nella già difficilis­sima sfida a Trump.

È verosimile che, tornato sconfitto a casa, nel Vermont, Sanders stia meditando anche su come evitare che, come accadde quattro anni fa, le sue indicazion­i di volto vengano disattese dal suo movimento. Che, come è facile capire visitando le basi dei volontari della sua campagna elettorale, non lo venerano ma lo consideran­o, piuttosto, un mezzo: il conducente del convoglio rivoluzion­ario.

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● Il capo della campagna di Sanders, Faiz Shakir, scrive ai sostenitor­i: «Abbiamo vinto la battaglia delle idee ma stiamo perdendo la battaglia della nomination»

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