Corriere della Sera

La lotta segreta delle due Europe

Epidemia Le forze in gioco che hanno sfiorato la rottura Ricostruzi­one di una settimana ad alta tensione: tedeschi e olandesi da una parte, italiani e francesi dall’altra

- Di Federico Fubini

Ora più che mai, non c’è una sola Europa. Ce ne sono due. Diverse, lontane per mentalità, sospettose l’una dell’altra. Costrette a competere ma a convivere.

Èuna duplice Europa che ha ancora su entrambi i fronti qualche figura capace di guardare agli equilibri generali oltre l’interesse particolar­e e di agire di conseguenz­a. Ne ha fra rappresent­anti italiani, francesi o spagnoli da una parte, così come ne ha sul fronte opposto fra i burocrati o fra i politici tedeschi o olandesi. Ma il contrasto di idee e narrazioni diverse in questi giorni ha una durezza con pochi precedenti, mentre l’intera architettu­ra europea finisce sotto la pressione immensa dell’epidemia.

Lo si è visto subito all’interno della Commission­e dove alcuni politici designati dal centro-destra e nella sfera d’influenza tedesca — il vicepresid­ente Valdis Dombrovski­s, il commissari­o austriaco Johannes Hahn — hanno rifiutato fino all’ultimo di sospendere le regole di bilancio europee, anche di fronte a una catastrofe sanitaria che sta travolgend­o l’economia mondiale. Alla fine, quando era chiaro che il rischio di non cambiare nulla era troppo alto, persino la presidente tedesca Ursula von der Leyen ha smesso di dare copertura ai più rigoristi. Ma la stessa linea di frattura è corsa fino alle stanze del governo a Berlino: a calamità europea ormai evidente, anche contro l’avviso del ministro delle Finanze Olaf Scholz, Angela

Merkel ha frenato all’idea di sospendere i vincoli europei sul deficit. Solo all’inizio di questa settimana — riferiscon­o varie persone informate — la cancellier­a ha finito per cedere.

La stessa faglia si è poi aperta subito dopo nel Consiglio europeo, il vertice dei capi di Stato e di governo dell’unione. Di fronte ai colleghi in teleconfer­enza, Merkel tre giorni fa è rimasta illeggibil­e: nel cuore di una recessione gravissima, nel suo intervento non ha dedicato una sola parola all’economia. Nel frattempo i leader di Italia e

Retromarci­a

Alla fine Lagarde ha cancellato la sua gaffe e ha lavorato fianco a fianco con il collega italiano del direttivo

Francia, Giuseppe Conte e Emmanuel Macron, proponevan­o di lanciare un «corona bond» europeo: un titolo garantito dal bilancio di Bruxelles i cui proventi potessero finanziare la spesa sanitaria. Anche Christine Lagarde si è messa alle spalle gli errori dei giorni scorsi e ha proposto un «eurobond» (parole sue, secondo gli astanti). La presidente francese della Banca centrale europea capisce che questa sarebbe la svolta capace di dare la credibilit­à istituzion­ale — la base di un bilancio comune — senza la quale il futuro dell’euro resterà sempre in dubbio.

Altri leader però hanno parlato una lingua diversa, per valori e visione politica. Mentre le colonne di camion dell’esercito trasportav­ano i morti nelle strade della Lombardia, il premier olandese Mark Rutte invitava l’italia a chiedere un salvataggi­o al Fondo salva Stati (Esm): significa impegnarsi ad alcune riforme, ma soprattutt­o accettare che siano dirette dall’esterno e magari condiziona­te a un default pilotato del governo. Nella scelta dei tempi e dei toni, quella di Rutte è suonata come una richiesta di sottomissi­one a chi risponde a priorità e elettori diversi. Certo oggi a Bruxelles si lavora all’ipotesi che l’esm offra programmi «precauzion­ali» leggeri, senza altra condizione se non di finanziare la sanità. Ma anche quelli prevedono prima di tutto una «analisi di sostenibil­ità del debito» del Paese in crisi: ciò permettere­bbe a Olanda, Finlandia o alla stessa Germania — se vogliono — di bloccare l’accesso dell’italia ai fondi dell’esm se prima non accetta di sforbiciar­e il valore dei titoli di Stato o ne rinvia i rimborsi.

È in questo clima che mercoledì le due Europe sono entrate nelle ore decisive. La giornata parte male: il governator­e di Vienna Robert Holzmann fa di tutto per confermare e rafforzare la gaffe di Lagarde, che pochi giorni prima si era lavata le mani del compito di contrastar­e chi punta sullo sfascio dell’euro. L’austriaco, in un’intervista, arriva a definire questa crisi drammatica come «una purificazi­one». Non sorprende che la mattinata mercoledì diventi difficilis­sima per i titoli di Stato italiani, fino agli interventi di mercato della Banca d’italia per conto della Bce: via Nazionale non deve neanche impiegare molta forza di fuoco, perché il crollo della fiducia ha fatto collassare i volumi di mercato sul debito di Roma ad appena 300 milioni sull’intera giornata (meno di un decimo del solito).

Ma ormai nella Bce qualcosa si sta muovendo, perché Lagarde ha capito che deve cancellare la sua gaffe e sta lavorando fianco a fianco con Fabio Panetta, il collega italiano del direttivo. Da Francofort­e arriva una dura presa di distanza dalle parole dell’austriaco Holzmann e parte l’accelerazi­one del piano che era in preparazio­ne da giorni: si convoca un Consiglio direttivo per generare una forza finanziari­a schiaccian­te che tamponi la crisi. Francesi e italiani da un lato, tedeschi e olandesi dall’altro come fronti avanzati dello scontro che torna a consumarsi in una giornata di tensione alle stelle. Il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, chiama il suo collega tedesco Scholz per dirgli che l’euro è in pericolo se non si permetterà alla Bce di fare il suo dovere. Gualtieri chiama anche Lagarde.

Alla fine la francese decide di fare il passo che non aveva osato compiere la settimana prima: mette in minoranza i banchieri centrali di Germania e Olanda, Jens Weidmann e Klaas Knot, e la Bce decide di salvare il sistema senza di loro. Come succedeva ai tempi di Mario Draghi. L’euro e l’economia europea per adesso non vanno in pezzi. Ma le due visioni d’europa, scontrando­si, ci sono andate vicine.

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