Quei 14 medici vittime del dovere
Almeno 14 i medici uccisi dal virus dall’inizio del contagio. L’ordine: «Mandati a combattere a mani nude».
Evitando le frasi magniloquenti, alate quanto vuote, i medici e gli infermieri che muoiono per il contagio da virus sono persone che meriterebbero «rime chiare, usuali: in -are», parole «elementari», come quelle che un grande poeta dedicò alla madre scomparsa. Non eroi ma lavoratori che, in numero crescente, si sono sacrificati sul campo, proprio come soldati o ufficiali impegnati in una guerra durissima e non voluta. Quattordici medici dall’inizio dell’epidemia. «Che stiano salvando così tante persone è un miracolo in sé», ha dichiarato Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’oms. Ricordarne la dedizione e la serietà in condizioni penose è restituir loro la dignità del lavoro (parola semplice e straziata, ma preziosa come le rime in are) in un momento drammatico in cui la comunità non ha bisogno di eroi ma di professionisti capaci, qualificati e seri: quelli che abbiamo disprezzato fino a ieri. E siccome si tratta di «adempimento del proprio dovere», questi lavoratori di ogni livello avrebbero diritto, in memoria, ai benefici che spettano a quelle figure, appartenenti alle forze di polizia e alle forze armate, che la legge definisce con le maiuscole «Vittime del Dovere»: non solo i caduti sui fronti della guerra, della criminalità, dell’ordine pubblico, ma anche quelli che hanno prestato servizio «in operazioni di soccorso e di tutela della pubblica incolumità». Non sarà una gran consolazione per i congiunti, ma almeno il segno di quel riconoscimento collettivo e di quella riconoscenza che nei giorni ordinari facciamo un’enorme fatica a manifestare agli altri. E che proprio quando tornerà l’agognata normalità dovremmo riscoprire tra le tante altre virtù dimenticate.