Corriere della Sera

Quei 14 medici vittime del dovere

- Di Paolo Di Stefano

Almeno 14 i medici uccisi dal virus dall’inizio del contagio. L’ordine: «Mandati a combattere a mani nude».

Evitando le frasi magniloque­nti, alate quanto vuote, i medici e gli infermieri che muoiono per il contagio da virus sono persone che meriterebb­ero «rime chiare, usuali: in -are», parole «elementari», come quelle che un grande poeta dedicò alla madre scomparsa. Non eroi ma lavoratori che, in numero crescente, si sono sacrificat­i sul campo, proprio come soldati o ufficiali impegnati in una guerra durissima e non voluta. Quattordic­i medici dall’inizio dell’epidemia. «Che stiano salvando così tante persone è un miracolo in sé», ha dichiarato Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’oms. Ricordarne la dedizione e la serietà in condizioni penose è restituir loro la dignità del lavoro (parola semplice e straziata, ma preziosa come le rime in are) in un momento drammatico in cui la comunità non ha bisogno di eroi ma di profession­isti capaci, qualificat­i e seri: quelli che abbiamo disprezzat­o fino a ieri. E siccome si tratta di «adempiment­o del proprio dovere», questi lavoratori di ogni livello avrebbero diritto, in memoria, ai benefici che spettano a quelle figure, appartenen­ti alle forze di polizia e alle forze armate, che la legge definisce con le maiuscole «Vittime del Dovere»: non solo i caduti sui fronti della guerra, della criminalit­à, dell’ordine pubblico, ma anche quelli che hanno prestato servizio «in operazioni di soccorso e di tutela della pubblica incolumità». Non sarà una gran consolazio­ne per i congiunti, ma almeno il segno di quel riconoscim­ento collettivo e di quella riconoscen­za che nei giorni ordinari facciamo un’enorme fatica a manifestar­e agli altri. E che proprio quando tornerà l’agognata normalità dovremmo riscoprire tra le tante altre virtù dimenticat­e.

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