Wuhan annuncia «zero contagi» Ma Pechino teme i rientri dall’estero
La città da dove è partita l’epidemia per il primo giorno non segnala nuovi casi: la quarantena continua Controlli stretti per evitare una seconda ondata
È diventata la città più famosa (o famigerata) della Cina e del mondo. Il suo assurdo mercato della carne selvatica e degli animali in gabbia è indicato come luogo di nascita e diffusione del coronavirus. Ma Wuhan, la città del paziente zero, dei 3.000 morti e oltre 70.000 malati su 11 milioni di abitanti ora segnala zero contagi. Per la prima volta da quando è stato dato l’allarme, a gennaio, nessun nuovo infetto è stato segnalato nella capitale dello Hubei. E zero anche nello Hubei e zero casi di contagio interno in tutta la Cina.
Di fronte alla pandemia il triplo zero comunicato da Pechino dà speranza anche nel resto del mondo.
Se la Cina è due mesi in anticipo su di noi nell’epidemia, possiamo prevedere che anche in Italia tra due mesi, a maggio, saremo quasi fuori dal tunnel. Restano dubbi di virologi ed esperti statistici sulla precisione della dichiarazione zero contagi in Cina. Basta riflettere sul fatto che anche quando ogni primavera passa il picco dell’influenza «normale di stagione», molti prendono comunque il virus.
Cautamente Wuhan sta permettendo ai lavoratori di fabbriche e uffici più importanti di tornare in attività. Per la fine della quarantena casalinga imposta a inizio febbraio (senza deroghe) si dovranno aspettare 14 giorni consecutivi di zero contagi, annunciano le autorità.
A Pechino dicono che in tutto il Paese il rischio da scongiurare ora è quello di una seconda ondata di contagi, di ritorno. Ci sono centinaia di migliaia di cinesi che viaggeranno per tornare in patria, e decine di migliaia di stranieri che per lavoro non potranno evitare la Cina (che ora oltretutto ci appare quasi il luogo più sicuro al mondo).
A Pechino sono stati contati 64 infetti «importati» negli ultimi sette giorni: la maggior parte spagnoli e italiani. È stata introdotta una procedura di arrivo strettissima: primo controllo della temperatura in aeroporto; trasferimento in un centro di osservazione e smistamento; obbligo di certificazioni e visite mediche; poi, se non compaiono segni di positività al coronavirus, invio per 14 giorni in una struttura di quarantena, a proprie spese. Circondati da personale in tuta, maschera e guanti.
Vale anche per i cittadini cinesi. E si incrociano polemiche nei social network mandarini sui tanti connazionali che ora vogliono rientrare: «Stavano all’estero perché amano quei Paesi più della Patria, ora riportano il virus», si legge su Weibo.
Torniamo alla grande giornata con zero contagi di Wuhan. Una decina di italiani sono rimasti a casa a Wuhan in questi due mesi, perché quella è la loro città, lì ci sono i loro cari e il loro lavoro. Ci ha detto Lorenzo Mastrotto, vicentino, moglie e due bambini piccoli: «Il momento più buio? A fine gennaio, quando qui a Wuhan ci sentivamo il lazzaretto del mondo. È stato un crescendo di disposizioni restrittive, a partire dal 23 gennaio. Prima non muoversi dalla città, poi ci hanno detto di uscire di casa solo uno per nucleo familiare, ogni due giorni, poi ogni tre. Ultimo passo restare al chiuso. Poi, quattordici giorni dopo l’ultima uscita, mi sono reso conto che siccome stavo bene, stavamo tutti bene, bastava restare a casa e seguire le disposizioni per evitare l’infezione. Un grandissimo sollievo quel quattordicesimo giorno, ci ha dato la spinta per non cedere. E ora telefono a Vicenza, a mio fratello e ai miei genitori e gli spiego che così si deve fare per battere l’epidemia».
Guardia alta
La gente ancora in casa Potrà uscire quando non ci saranno casi per 14 giorni di seguito