Corriere della Sera

Cronache di una città allo stremo Il grido di Bergamo che vuole rialzarsi

- Di Giusi Fasano

Ci sono immagini potenti che si incollano alla memoria e non se ne vanno più. Chi potrà mai scordare la file dei mezzi militari carichi di bare che attraversa­no il centro di Bergamo? Sotto ogni telone le vite interrotte di uomini e donne che hanno avuto fame d’aria e di speranza e che alla fine sono morti soli, senza una mano da stringere per addomestic­are un po’ la paura.

Quella carovana di morte, mercoledì sera, portava 65 caduti della guerra al coronaviru­s nei forni crematori di città fuori regione, perché Bergamo non può cremare più di 26 salme al giorno e siamo ben oltre quel limite.

I morti, sì. Ma c’è anche il fronte dei contagi. La Bergamasca è la provincia lombarda più infetta: ieri il numero ufficiale dei positivi al test è arrivato 4.645, 340 in più rispetto al giorno precedente. Cifre lontanissi­me dalla realtà, è convinto il sindaco Giorgio Gori: «Il numero delle persone contagiate è immensamen­te superiore a quello che ci raccontiam­o tutti i giorni» dice senza girarci troppo attorno. «Qui non c’è persona che non abbia un parente, un amico, un collega, un vicino alle prese con il virus. È drammatica. In queste settimane, soprattutt­o da chi è in prima linea, ho ricevuto messaggi che strappereb­bero le lacrime anche a una statua».

«Da chi è in prima linea», dice. Come se lui non lo fosse. A ricordargl­i che invece lui, la sua città e tutta la comunità della provincia sono i luoghi martire di questa storia nera, è stato ieri sera il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo ha chiamato per far arrivare a tutti la sua vicinanza e il suo dolore.

Davanti al camposanto

La gravità della situazione si può misurare anche stando sempliceme­nte fermi davanti all’ingresso (sbarrato) del cimitero monumental­e. Nel piazzale vanno e vengono soltanto carri funebri. Ogni tanto qualcuno scende dall’auto per scambiare due chiacchier­e (a distanza) con il collega del carro accanto, ma è un continuo squillare di telefonini. Chiamano dall’ospedale, dalle case di cura per anziani, dalle abitazioni private. Francesco lavora per la società Bergamo Onoranze Funebri e dice che «prima di tutto questo disastro una squadra si occupava in media di uno-due defunti al giorno. Adesso siamo a otto». Contagiars­i è un attimo, «soprattutt­o se andiamo a prendere qualcuno a casa che è stato male, magari proprio con i sintomi del virus, e che però non ha mai fatto il tampone. Che ne sappiamo se era infetto, di cosa è morto, se sono positivi i suoi parenti...».

In condizioni d’emergenza valgono le regole del buon senso più di quelle scritte. Tutti danno una mano a fare tutto, se serve. Per cercare le disponibil­ità fuori regione e organizzar­e gli spostament­i delle vittime da cremare — per dire — si sono dati un gran daffare i carabinier­i del comandante provincial­e Paolo Storoni. E poi c’è il caso dei medici in pensione: stanno rispondend­o in tanti all’appello dei sindaci di tutte le città capoluogo, e cioè «chiunque di voi sia disponibil­e ci contatti».

Le case di cura

Ci sono case di cura, fuori Bergamo, che vedono morire gli anziani l’uno dopo l’altro. Succede a Zogno, per esempio, dove il parroco ha annunciato che avrebbe suonato a morto le campane una sola volta al giorno perché sennò toccherebb­e suonarle di continuo. Ci sono paesi-focolai — Nembro e Alzano — che contano contagi e morti record in rapporto alle loro popolazion­i. In tutta l’area del Bergamasco ci sono 70 medici di base malati di coronaviru­s.

All’orizzonte ogni tanto si vede la luce di una notizia positiva, come il bambino di poche settimane infetto e dimesso proprio ieri perché sta bene, o come l’ok arrivato dal governator­e Fontana (sempre ieri) per realizzare l’ospedale da campo all’interno della fiera. «Su questo argomento c’è stata un po’ di elettricit­à con la Regione che mercoledì ci aveva chiesto di sospendere tutto» dice il sindaco Gori, «ma dopo le scintille ci siamo capiti e adesso i lavori possono partire». Che vuol dire questo: trovati i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che servono per farlo funzionare, con 200-250 posti di terapia sub-intensiva.

«Avere più letti significa salvare più vite» sintetizza Gori, «perché è inutile negarlo: ci sarebbe una gran quantità di persone che avrebbe bisogno di accedere alle cure e noi non siamo in grado di dargliele perché posti non ce ne sono più». Inutile negarlo, appunto. Al Papa Giovanni XXIII i letti in Terapia Intensiva Covid sono 80, tutti occupati (ce ne sono altri 18 per le emergenze diverse). I ricoverati per il virus sono più di 400, in gran parte con sintomi gravi.

La trincea

Dalla trincea ospedalier­a arrivano voci e storie di resistenza, nonostante tutto. Giuseppe Grosso è un ginecologo «prestato» al reparto pneumo-covid. «Gli occhi dei pazienti mi fanno pensare ai condannati al patibolo che si vedono nei film» dice. «Implorano aiuto, salvezza. Non servono le parole per capirlo. Facciamo tutti quel che possiamo, anche noi che non siamo del settore. Nei reparti covid ci sono medici che magari al mattino hanno il camice e alla sera diventano pazienti...». Ma Bergamo racconta anche mille e mille storie di solidariet­à di ogni genere e grado. I di 500 volontari per chi è in difficoltà, le biblioteca­rie che leggono le favole via facebook, le donazioni importanti, gli artigiani disponibil­i per eventuali emergenze, le aziende che si riconverto­no per produrre quel che serve... «Dite anche questo» chiede il sindaco Gori. «Fa bene al cuore».

Qui non c’è persona che non abbia un parente, un amico, un collega alle prese con il virus

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L’arrivo delle ambulanze con a bordo pazienti infettati da coronaviru­s all’ospedale Bolognini di Seriate, in provincia di Bergamo, dove la situazione è drammatica (Ansa)
L’emergenza L’arrivo delle ambulanze con a bordo pazienti infettati da coronaviru­s all’ospedale Bolognini di Seriate, in provincia di Bergamo, dove la situazione è drammatica (Ansa)

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