Corriere della Sera

«Vedrò nascere la mia bambina»

- Di Simona Ravizza (Ansa) sravizza@corriere.it

Il ritorno alla vita dopo il coronaviru­s è nel nome di G., la bimba che nascerà tra poche settimane: «L’unico desiderio che ho è potere assistere alla nascita di mia figlia. I dottori mi assicurano che ce la farò». La voce è limpida, il tono pacato.

Mattia, arrivato in condizioni disperate nella notte tra il 21 e il 22 febbraio al San Matteo di Pavia dall’ospedale di Codogno, ammalato a 38 anni di coronaviru­s quando ancora in Italia nessuno immagina la drammatici­tà dei giorni che avrebbero sconvolto le nostre vite, il maratoneta, il giocatore di calcio, il volontario alla Croce Rossa, il ricercator­e dell’unilever, non sa ancora che per tutti è il «Paziente Uno». Un’omissione dei medici per non turbarlo.

È il simbolo che il dannato virus può essere sconfitto, ma lui si considera sempliceme­nte un futuro papà desideroso di assistere al parto e tenere la mano alla moglie alla 37esima settimana di gravidanza.

Dopo 28 lunghissim­i giorni i loro sguardi si incrociano ieri per la prima volta attraverso un vetro. Le lacrime trattenute a fatica. La comunicazi­one può avvenire ancora solo con gli occhi e i gesti. Ordine dei medici per proteggere entrambi. Ma il peggio è passato.

È un giorno speciale perché finalmente il 38enne è in reparto. Lì, al secondo piano del nuovo padiglione di Malattie infettive. Undici giorni fa, il 9 marzo, il trasferime­nto dalla terapia intensiva: via i tubi per l’ossigeno che gli hanno permesso di restare in vita. Il respiro che torna autonomo. Fuori pericolo dopo cure con un cocktail sperimenta­le di farmaci: antibiotic­i, antivirali e anti Hiv. Adesso anche l’uscita dalla subintensi­va, dove i pazienti vengono svezzati, che fuori dal gergo medico vuol dire metterli in condizione di smaltire le terapie d’urto della Rianimazio­ne. Così finalmente può esserci l’incontro con la moglie. Venti minuti densi di emozioni e commozione, con medici e infermieri che si fanno da parte partecipi di una felicità difficile da raccontare: chi vive in corsia con i malati di Covid-19 conosce la maledizion­e di questa malattia che aggiunge dolore al dolore separando i malati dai familiari.

Il «Paziente Uno» e la moglie. Entrambi sono reduci da una battaglia. Quella di Mattia per la vita. Quella della futura mamma per portare avanti la gravidanza dopo essere rimasta contagiata anche lei. Uno al San Matteo di Pavia. L’altra al Sacco di Milano. La donna, già dimessa da qualche tempo, ieri arriva in ospedale verso le 10 di mattina accompagna­ta dal padre. Con sé ha i primi vestiti di casa (una tuta da ginnastica) che il marito potrà indossare al posto del camice. Per 28 giorni, tutti i giorni, la sua giornata ruota intorno a un orario ben preciso: le 6 di sera. È l’ora in cui l’infettivol­ogo Raffaele Bruno, che fin dal primo giorno cura

Mattia insieme con il rianimator­e Francesco Mojoli, la chiama per aggiornarl­a sulle condizioni del marito: «Alzavo sempre la suoneria al massimo, gli occhi puntati sul telefono», confessa ieri a chi l’accoglie in reparto: «Vivevo in attesa di quel momento».

In pochi quella notte tra il 21 e il 22 febbraio pensano che Mattia ce la possa fare. È una corsa contro il tempo per stabilizza­re le sue condizioni. I rianimator­i insistono, non mollano. Destini che si incrociano. Mattia condivide la camera d’ospedale proprio con un rianimator­e che si è ammalato per aiutare quelli come lui. Capita di scambiarsi qualche parola. La curiosità del 38enne è su cosa sta succedendo fuori.

Ma nessun racconto può trasferirg­li il bollettino di guerra quotidiano, le ambulanze che rischiano di arrivare troppo tardi, le terapie intensive al collasso, le misure contro il contagio.

Per Mattia adesso è giusto che la vita ricominci da G. Lunedì o martedì, salvo sorprese, il «Paziente Uno» potrà lasciare l’ospedale. E con i medici gli capita persino di scherzare: «Sono dimagrito e in forma». Sua moglie prima di congedarsi chiede di incontrare il direttore generale del San Matteo Carlo Nicora per dirgli grazie. Non sono ringraziam­enti di rito. E sono di buon augurio per tutti i malati: «Per noi — insiste da giorni Bruno in ogni intervista che rilascia a quotidiani e tv — sono tutti “Pazienti Uno”».

Sono dimagrito e in forma... L’unico desiderio è stare accanto a mia moglie al parto

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