Bimba denutrita, genitori in cella Presi da agenti vestiti da postini
Milano, morta a 9 mesi. I due, condannati a 15 anni, si nascondevano in case diverse
MILANO Da neonata denutrita e disidrata a 9 mesi, con le piaghe sul corpo, la dermatite da pannolino nelle parti intime, il capo deformato dall’essere stata lasciata sempre immobile stesa nella culla in una stanza abitata da scarafaggi, Aurora morì infine la notte tra il 26 e il 27 febbraio 2015 nella periferia di quella Milano che si preparava all’expo su «nutrire il Pianeta». E che né nel contesto familiare né nella comunità sociale intorno a Marco Falchi e alla moglie Olivia Beatrice Grazioli aveva mai «intercettato» la bolla psicologica nella quale i due genitori di fatto finirono per condurre a destino mortale la figlioletta con una serie di dolosi comportamenti omissivi che toccò al pm Christian Barilli inquadrare nel reato di «maltrattamenti aggravati da morte».
Morte non voluta, tuttavia prevedibile in ragione della deliberata scelta dei genitori di trascurare le esigenze di accudimento della figlia, e costata una condanna a 15 anni alla coppia nel frattempo separatasi.
Sentenza che, passata in giudicato e messa in esecuzione dalla Procura generale di Milano, ieri ha appunto portato gli agenti di polizia del commissariato Bonola a bussare (vestiti da postini che dovessero consegnare una raccomandata) alla casa di un conoscente dove era andata a vivere la donna, e all’appartamento in un’altra periferia dove l’uomo stava senza contatti con l’esterno per l’emergenza sanitaria.
La ragione dell’escamotage dei poliziotti sta forse in una precauzione derivante dal fatto che, quando la Corte d’appello d’assise aveva confermato la condanna ma alzato la pena a quindici anni dai dodici anni del primo grado, contemporaneamente aveva — come di rado accade — emesso un ordine di custodia cautelare nel timore che i due potessero scappare prima della definitività del pesante verdetto. Ma la Cassazione aveva poi annullato quell’arresto preventivo, ravvisando l’assenza del pericolo di fuga a distanza di tempo.
Nei vari gradi di giudizio padre e madre nulla hanno fatto per non apparire quasi epidermicamente incomprensibili nella loro dichiarata volontà di non lavorare, isolatisi a vivere con piccoli contributi delle rispettive famiglie ma non davvero soli perché in casa viveva il nonno materno, non del tutto emarginati (il padre era stato per poco anche consigliere del condominio), e nemmeno davvero indigenti visto che la casa era di proprietà e nello stesso periodo erano riusciti a comprare un’auto.
Eppure vittime della propria inadeguatezza. E della inconsapevolezza della traiettoria che stavano portando a compimento per la loro neonata.
Traiettoria non compresa nemmeno dal medico del pronto soccorso ospedaliero, che — l’unica volta nella quale i genitori ce l’avevano portata per un attacco di febbre alta, salvo subito allontanarsi senza nemmeno attendere il prescritto esame delle urine — a una visita superficiale non ritenne di far seguire alcuna segnalazione all’autorità giudiziaria o ai servizi sociali.
Del resto nei 9 mesi di vita di Aurora il sistema sanitario non si domandò perché quei genitori non si facessero mai vedere dal pediatra pubblico in teoria assegnato loro; né se la sentirono di intervenire i vicini di casa, che pure si erano accorti delle cattive condizioni della bimba.