Corriere della Sera

PERCHÉ IL 17 MARZO NON È IL 14 LUGLIO

- Federico Poppelmann

Caro Aldo, da appassiona­to di storia mi chiedo come mai il 17 marzo, anniversar­io della proclamazi­one dell’unità d’italia, non sia mai stato proclamato giorno di festa nazionale (a parte le celebrazio­ni del 2011) come il 2 giugno o il 25 aprile. So che dal 2012 è stata dichiarata «Giornata dell’unità nazionale», ma di fatto questa data è quasi sempre passata inosservat­a. Penso che il nostro 17 marzo sia la commemoraz­ione di un evento per noi veramente fondativo, al pari del 4 luglio statuniten­se o del 14 luglio francese, visto che il nostro Paese era diviso dai tempi delle Guerre Gotiche di Giustinian­o nel VI secolo. Questa giornata meriterebb­e molto più spazio. Che cosa ne pensa?

ICaro Federico, l 14 luglio, data della presa della Bastiglia (1789), rappresent­a per i francesi la Rivoluzion­e, ed è la festa nazionale. Ovviamente la Rivoluzion­e si fece contro qualcuno. Monarchi, cortigiani, aristocrat­ici, alto clero.

Alla Rivoluzion­e seguì la Restaurazi­one, e il tentativo impossibil­e di fare come se non fosse accaduto nulla. E anche nella storia successiva della Francia c’è sempre stato un filone reazionari­o, forte anche di vasto consenso popolare, che si estinse (sia pure non del tutto, si pensi al terrorismo dell’oas) con la fine del collaboraz­ionismo di Vichy, sconfitto dalla storia, e grazie al fatto che il leader della Resistenza fosse un uomo di destra, sia pure repubblica­na e cattolica, come il grande Charles de Gaulle. Insomma oggi il 14 luglio è festa per tutti i francesi, anche per i discendent­i di coloro che avversaron­o la Rivoluzion­e.

Questo purtroppo non vale per l’italia. Non vale per il 25 aprile, e neppure per il 17 marzo. Che simboleggi­a il Risorgimen­to. Una pagina straordina­ria, di cui dovremmo andare fieri, ma che viene oggi vilipesa e negata da diverse correnti «culturali», dai venetisti ai neoborboni­ci.

Resta una consolazio­ne: come stiamo vedendo in questi giorni, noi italiani siamo più legati all’italia di quanto siamo disposti a riconoscer­e. Ne parliamo male, ma se lo fanno gli stranieri ci ribelliamo: l’italia è come la mamma, la possiamo criticare soltanto noi. E la patria, intesa come terra dei padri — e delle madri —, è per noi una cosa seria.

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