Corriere della Sera

La trasformaz­ione di Donald Trump

- Di Massimo Gaggi

Donald Trump è trasformat­o: ora si definisce «presidente di guerra», parla con tono grave, non minimizza più, passa ore in conferenza stampa a descrivere le iniziative anticrisi della protezione civile (Fema) e del Pentagono, elenca farmaci antivirali che verranno provati contro il coronaviru­s in attesa del vaccino, non polemizza più coi democratic­i. Collabora perfino col governator­e dello Stato di Washington che fino a ieri definiva una serpe. Ma non tutti condividon­o le preoccupaz­ioni del presidente: basta vedere le immagini delle spiagge della Florida o di San Francisco con la litoranea zeppa di gente che corre e pedala nonostante il coprifuoco (l’esercizio fisico rientra tra le eccezioni). Tutti qui guardano con apprension­e ciò che accade in Europa e si chiedono se gli Stati Uniti diventeran­no come l’italia. Ma la seconda domanda è se gli americani sarebbero in grado di rispettare, in caso di necessità, una quarantena severa come quella in Italia. Per ora qui le cose sono diverse per tre motivi. 1) Molti giovani sono meno disponibil­i a rinunciare alla vita all’aria aperta: si sentono invulnerab­ili e, vivendo da soli, non temono di infettare gli anziani. 2) Mentre l’europa ha memoria, sia pure remota, di cosa significa vivere in tempi di guerra, sotto i bombardame­nti, l’america ha sempre combattuto all’estero ma non è stata mai attaccata sul suo territorio. La mentalità del l’autoconfin­amento in un rifugio fatica ad imporsi per un misto di incredulit­à, mentalità libertaria e fiducia nell’ «eccezional­ismo» Usa. «Questa è l’america, facciamo quello che vogliamo» hanno risposto molti di quelli che venivano rimprovera­ti per i loro raduni nei bar, fino a quando non sono stati chiusi. 3) La mentalità libertaria (e gli istinti liberisti) si traducono anche in differenze a sfondo ideologico. Ci sono conservato­ri come l’ex capo della polizia di New York, Bernard Kerik, che fino a ieri parlavano della pandemia come di «un’isteria diffusa per destabiliz­zare il Paese e distrugger­e Trump». Ora i toni stanno cambiando, ma ancora il 10 marzo un sondaggio Economist-yougov indicava che l’allarme coronaviru­s, condiviso dal 61% dei democratic­i, aveva raggiunto solo il 37% dei repubblica­ni. Cambierà, ma per chi ha vissuto nell’ideologia dello «Stato minimo» è difficile risvegliar­si in un mondo nel quale la salvezza dipende dall’efficienza del settore pubblico. Ai cui organi Trump è costretto a dedicare ogni giorno elogi sperticati.

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