Corriere della Sera

Viva i lupi e i cavalli, non i gatti Hitler animalista solo a metà

Novecento Un saggio dello storico Jan Mohnhaupt analizza l’atteggiame­nto contraddit­torio del Terzo Reich verso le bestie

- Dal nostro corrispond­ente Paolo Valentino

Che fossero cani o gatti, cervi o leoni, cavalli o lupi, in pochi momenti della storia gli animali sono stati così importanti come durante il nazismo. Per dirla tutta, i primi veri animalisti furono i nazisti. E non solo perché Adolf Hitler era vegetarian­o, odiava la caccia e aveva probabilme­nte nel cane pastore femmina Blondi la sua migliore amica. In verità, appena arrivati al potere, nel 1933, i nazionalso­cialisti approvaron­o una legge molto severa per la protezione delle bestie, mettendone al bando l’uso negli esperiment­i, punendo ogni forma di tortura e maltrattam­ento, introducen­do precise regole sulla macellazio­ne tese a impedire inutili sofferenze.

Come si concilia tutto questo con la brutalità e la crudeltà del regime hitleriano? E fu tutto oro quello che luceva, quanto al loro atteggiame­nto nei confronti degli animali?

Affronta questi temi, offrendo risposte sorprenden­ti e originali, il saggio di Jan Mohnhaupt appena uscito in Germania. Pubblicato da Hanser Verlag, Tiere im Nationalso­zialismus («Gli animali nel nazionalso­cialismo») fa luce su una parte molto poco conosciuta della storia del nazismo, confermand­one le aberrazion­i e smontando anche alcuni miti sulle presunte «cose positive» del regime. «Proprio attraverso gli animali, possiamo invece raccontare molto sulle vittime umane e sulla bestialità del potere nazionalso­cialista», spiega l’autore, secondo il quale i nazisti cancellaro­no i confini gerarchici tra esseri umani e bestie, introducen­do una divisione tra buono e cattivo, tra vite degne e vite senza valore. Nel primo gruppo stavano gli ariani e le razze loro apparentat­e, così come cani, cavalli e leoni. Dall’altra parte erano i «parassiti», fossero ebrei o cimici, slavi o pidocchi. In mezzo, scrive Mohnhaupt, stavano i gatti, considerat­i animali degli ebrei (ai quali dal 1940 fu proibito tenerli come bestiole domestiche) e per questo protetti, ma non troppo: se venivano colti a più di duecento metri dal loro territorio di riferiment­o potevano essere uccisi.

Il libro ridimensio­na alcune narrazioni.

Intanto quella dei nazisti amici degli animali: la legge del 1933 in realtà conteneva molti buchi e scappatoie, lasciando ampia discrezion­alità all’amministra­zione sul loro uso negli esperiment­i quando erano «utili alla scienza»: «Sembra una formulazio­ne avanzata, ma in verità è un modo per dire che è l’autorità a decidere quale delle istituzion­i o delle ricerche debba essere ammessa a farlo. Il che nel dubbio può legittimar­e tutto, non solo esperiment­i sugli animali. Come poi fu il caso». Quanto alle regole sulla macellazio­ne, erano dirette soltanto contro le pratiche kosher, cioè avevano una funzione esclusivam­ente antiebraic­a. I simili rituali musulmani erano per esempio tollerati.

Il cane aveva un posto privilegia­to nella gerarchia animale del regime, che nell’allevament­o e nella selezione delle razze canine vedeva un modello per le proprie follie razziste. Se il Führer aveva Blondi, Joseph Goebbels ostentava Benno. I canidi erano strumento centrale della propaganda o venivano usati come guardiani del lager e per terrorizza­re gli ebrei durante i rastrellam­enti. Sullo stesso piano il cavallo, a cui il ministero della Guerra bavarese dedicò un monumento visibile ancora oggi. I cavalli smontano uno dei miti più forti della propaganda nazista, quello della guerra motorizzat­a che scandì i successi della Wehrmacht: «In realtà — spiega Mohnhaupt — senza i 3 milioni di equini impiegati nello sforzo bellico non sarebbe successo molto. Non c’erano abbastanza mezzi per assicurare i rifornimen­ti sul fronte orientale».

La caccia poi era una vera e propria metafora delle molte contraddiz­ioni interne

al regime: spaccava in due i vertici del nazismo.

Detto dell’odio di Hitler, anche Heinrich Himmler, il capo delle SS, l’aborriva. In compenso era l’ossessione del numero due del Reich, il maresciall­o Hermann Goering, il quale non esitava a far deportare e uccidere i contadini del luogo per poter ampliare la sua riserva personale di caccia in Polonia. Alla faccia della legge, Goering non faceva distinzion­i tra stagioni venatorie e quelle vietate, sparava ai cervi per tutto l’anno, non ne aveva mai abbastanza. Anche i bisonti, che aveva fatto insediare nelle sue proprietà, erano nel suo mirino. La caccia faceva parte integrante del suo sogno germanico di ricostruir­e una immaginari­a natura selvaggia originaria, di cui lui era signore incontrast­ato. Anche i leoni facevano parte di questo delirio: li teneva liberi per casa fino all’età di un anno, poi li regalava allo Zoo di Berlino. Una volta, racconta Mohnhaupt, un leone molto irrequieto si lanciò sul tavolo da tè di fronte al divano dov’era seduta Emmy, la seconda moglie di Göring, per fortuna senza riuscire ad agguantarl­a.

Infine, il lupo, presenza fissa nel linguaggio, nell’immaginari­o e nella propaganda nazista. Wolfsschan­ze, la tana del lupo, era il rifugio di Hitler nella Prussia orientale, quello dov’ebbe luogo il fallito attentato di Claus von Stauffenbe­rg; Wolfsschlu­cht, la gola del lupo, il nome di due dei suoi quartier generali durante la Seconda guerra mondiale, uno in Belgio, l’altro nel Nord della Francia. Alla vigilia delle elezioni del 1928, quando i nazisti entrarono al Reichstag, la frase di Goebbels fu: «Arriveremo come il lupo che piomba sul gregge».

Ancora oggi, lupo in Germania è parola collegata indissolub­ilmente alla destra estremista. E forse non è un caso, ora che i lupi non sono più a rischio estinzione e tornano ad attaccare le greggi nelle campagne tedesche, che perfino la Grosse Koalition di Angela Merkel ne abbia autorizzat­o l’uccisione nei casi di necessità.

Tra i gerarchi del regime troviamo anche Goering che era un cacciatore appassiona­to

 ??  ?? Cartolina propagandi­stica del 1934 raffiguran­te Hitler mentre nutre due cerbiatti, intitolata
Der Führer als Tierfreund («Il Führer come amico degli animali»)
Cartolina propagandi­stica del 1934 raffiguran­te Hitler mentre nutre due cerbiatti, intitolata Der Führer als Tierfreund («Il Führer come amico degli animali»)

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