«A Codogno torniamo a sperare»
Il sindaco di Codogno: la telefonata che ci ha cambiato la vita
Il sindaco sposta la mascherina sulla testa e fuma una sigaretta davanti all’ingresso del Centro operativo comunale. «Quella sera ero rimasto fuori a bere qualcosa con un mio consigliere», ricorda. «A mezzanotte e un quarto arriva una chiamata dal prefetto. Avevamo appena avuto il caso del Frecciarossa deragliato e siccome anche quella volta era stato lui a chiamarmi, alle sei del mattino, ho pensato in automatico: non sarà successo qualcos’altro sul treno... E invece sento che mi dice: volevo avvisarla che abbiamo un paziente contagiato dal coronavirus all’ospedale di Codogno. E vabbè, da quel momento in poi niente è stato più lo stesso».
Era la notte fra il 21 e il 22 febbraio, la prima di tante passate a dormire quasi zero e a gestire l’emergenza peggiore di sempre. Francesco Passerini rimette a posto la mascherina e dice che «sì, capisco che da ora in poi la parola Codogno sarà associata alla parola Covid, ma vorrei che fossero notati anche i comportamenti responsabili della mia comunità e di tutte le comunità della prima zona rossa. Siamo stati i primi, appunto. Abbiamo metabolizzato le privazioni antivirus e forse è anche per quello che facciamo meno fatica a seguire i divieti arrivati dopo per tutti. Quel che sappiamo è che oggi i dati sui contagi ci fanno ben sperare».
La guerra non è vinta, lo sanno tutti. Ma la crescita molto contenuta degli infetti, oggi, racconta che la strada dell’isolamento funziona, a Codogno come negli altri nove Comuni chiusi per primi (quasi 50 mila persone).
In questo mese di incertezza e sgomento crescenti «non c’è stato un solo cittadino che sia venuto a protestare o a lamentarsi di qualcosa» racconta il sindaco, «eppure di difficoltà ne abbiamo avute e vuole sapere una cosa? Nei quindici giorni del nostro isolamento, e anche dopo, nessuno è venuto ad aiutarci. Nessuno. Solo qualche giorno fa sono arrivati quattro medici dell’esercito. Nient’altro». Il senso è: Codogno se l’è cavata da sola.
Lungo la strada principale che l’attraversa sembra tutto identico a un mese fa. Il silenzio fa risuonare il rumore di ogni passo. Per strada qualcuno con i sacchetti della spesa, le sole insegne illuminate sono, come allora, quelle delle farmacie e degli alimentari, e non si vede nessun assembramento. La chiesa centrale è aperta per chi vuole entrare a pregare in solitudine ma niente funzioni di nessun genere. Una coda ordinata (non lunga) aspetta con pazienza e con la giusta distanza fuori dal supermercato che si trova proprio di fronte all’ospedale, il luogo dove tutto è cominciato e dove il Pronto soccorso è chiuso ormai da settimane. Nel resto dei reparti — come in tutti gli altri ospedali della Lombardia — è un continuo far posto ai pazienti Covid o creare barriere fra aree «sporche» del virus e altre che invece sono «pulite», e guai a contaminarle.
Poco più in là, il cimitero. Chiuderlo «è stata la scelta più difficile» per dirla con il sindaco. È stato come rendere ancora più solo chi aveva un saluto — almeno un saluto — da fare davanti alla lapide di una persona cara. E così, appena sono finiti i giorni di quarantena, il suo cancello è stato il primo a riaprirsi, anche se gli ingressi sono limitati e il tempo di visita concesso è lo stretto necessario.
Radio zona rossa trasmette dalle frequenze di quella che prima del virus era la radio parrocchiale. Solo che adesso la scaletta dei programmi, chiamiamoli così, non è più dettata dalle messe e dalle preghiere ma dai bollettini sui numeri dei contagi, sulla situazione, sulle necessità. I ragazzi dell’oratorio che la gestiscono ne vanno fieri e ogni giorno gli appuntamenti sono alle 11 e alle 17.
Decine di volontari non hanno mai smesso di considerarsi in quarantena, di consegnare spesa e farmaci, di affrontare difficoltà pratiche ed emotive, soprattutto per le persone più anziane in isolamento. Non a caso Codogno è diventata un modello. Un mese dopo il ricovero del «paziente uno», l’allarme e il dolore per le vittime, e per chi sta lottando ogni giorno per sopravvivere, si fanno sentire molto più del primo giorno. Assieme a una sola certezza: non è il momento di abbassare la guardia.
L’impegno
Decine di volontari ogni giorno continuano a consegnare spesa e farmaci agli anziani