L’america si conta per scoprire che faccia ha il futuro
I paesini sperduti dell’alaska hanno cominciato già qualche settimana fa, nel resto del Paese le operazioni del censimento sono partite solo da qualche giorno, con una incredibile mobilitazione di uomini e risorse (il budget dovrebbe superare i 15 miliardi di dollari) che si ripete ogni dieci anni dal 1790. L’america infatti il Census ce l’ha inscritto nella Costituzione, e se è vero che frugando nella Storia, sin dall’antica Roma, si possono trovare tanti esempi di censimenti, gli Stati Uniti sono stati i primi a usarlo per distribuire rappresentanza e risorse, quindi come base stessa del funzionamento democratico dello Stato. Dal Medicare alle borse di studio agli investimenti nelle infrastrutture, circa mille miliardi di dollari vengono assegnati secondo i dati raccolti; e da essi dipende anche quanti deputati contano i singoli Stati: mentre tutti, dal Texas al Rhode Island, hanno due senatori, il numero di congressmen è proporzionale alla popolazione.
Facile immaginare come questo gigantesco esercizio statistico sia sempre stato anche un terreno di scontro politico: la mappatura dei distretti, fatta sulla base dei numeri forniti, viene spesso usata dai parlamenti statali per disegnare circoscrizioni favorevoli al partito al potere (il cosiddetto gerrymandering). Quest’anno ci sono state grandi polemiche perché Trump voleva introdurre nel questionario una domanda sulla cittadinanza che avrebbe scoraggiato gli immigrati irregolari a compilarlo. Non l’ha fatto, ma se ne è parlato così tanto che l’effetto dissuasione potrebbe esserci lo stesso, «inquinando» la conta finale.
Ma a fine anno, quando (virus permettendo) i risultati saranno resi noti, l’america si scoprirà ancora più multietnica — il secondo gruppo più grande del Paese dopo «bianchi» potrebbe essere «other», «altro», dal momento che la domanda sulla razza non prevede una casella «latino» — più popolosa e «in fuga» dal Nord industriale verso la Sun Belt, dal Texas alla Florida.