Corriere della Sera

Perché tanti morti tra i casi italiani?

Il tasso di letalità in Italia è del 9% contro il 3,8 cinese. Ma i dati potrebbero essere falsati da molti fattori

- di Silvia Turin

L’Italia paga il prezzo più alto al Covid-19. Ecco perché.

S ono 53.578 i casi positivi confermati in Italia secondo il bollettino della Protezione Civile diramato sabato sera, 17.708 i pazienti in ospedale, di cui 2.857 in terapia intensiva. I morti sono saliti a 4.825. In Europa, la Spagna totalizza oltre 25mila positivi con oltre 1.300 decessi, la Germania ora viene subito prima degli Usa con 22.213 casi confermati (ha scavalcato l’iran) ma «solo» 84 morti.

Cosa succede in Italia? I morti in Cina sono stati 3.259 con un tasso di letalità del 3,8%, secondo il report finale della missione dell’organizzaz­ione Mondiale della Sanità di ritorno dal Paese asiatico. In Italia lo stesso tasso è al 9% (il 12,1% in Lombardia), mentre quello di Wuhan era al 5,8% e il resto della Cina si è fermato allo 0,7%. Come si spiega la differenza rispetto a tutti i Paesi del mondo? I fattori che concorrono al calcolo del dato numerico sono molti.

Bisogna considerar­e che il tasso di letalità (che non è la mortalità) è il numero di decessi dovuti a Covid-19 diviso per il numero totale di casi confermati di infezione da coronaviru­s, un valore che dipende, quindi, dai soggetti positivi tracciati.

Numeri sottostima­ti

La prima ipotesi interpreta­tiva è che in Italia i contagiati siano molti di più: un studio pubblicato su Science calcola che per ogni positivo ce ne siano almeno 5-10 non censiti. Un modello matematico firmato da Livio Fenga dell’istat mostra a sua volta come il 12 marzo rispetto ai 12.839 casi denunciati in Italia, le persone infette dal Sars-cov-2 potrebbero essere state 105.789.

Se davvero i soggetti contagiati fossero fino a dieci volte tanto, la percentual­e di letalità calcolata rispetto all’intera nazione scenderebb­e su valori vicinissim­i a quelli della Cina continenta­le.

Quanti tamponi si eseguono

«Il tasso di letalità in Italia è più elevato perché, oltre ad avere una popolazion­e più anziana, non si stanno testando (e di conseguenz­a isolando) i casi più lievi», ha dichiarato recen

temente il vice direttore generale dell’oms, Bruce Aylward.

I positivi confermati sono i soggetti che hanno fatto un tampone. Quanti test si eseguono in Italia? Nei giorni passati la questione è stata oggetto di dibattito, visto che questo numero determina l’andamento dell’epidemia. In ogni Paese i tamponi sono stati effettuati con direttive diverse e variabili, spesso a seconda dell’urgenza del momento. Così in Italia (come in Cina) all’inizio si facevano test a tutte le persone «sospette» di contatto con casi positivi o a chi arrivava da zone «a rischio» (anche asintomati­ci), poi si è passati (dopo circa una settimana) a farli solo alle persone con sintomatol­ogia seria, che sono però anche quelle più suscettibi­li di morte. Da allora, le percentual­i sono cambiate e la letalità ha cominciato a crescere.

C’è anche da ricordare che nelle regioni che sperimenta­no il maggior stress sanitario (Lombardia ed Emilia-romagna), dove la letalità è «fuori scala», si fanno meno tamponiper-contagiati rispetto al resto d’italia.

In assoluto, però, i test pro capite non sono così pochi, al 21 marzo oltre 233mila: l’italia è il Paese al mondo con più tamponi per milioni di persone, superata solo dalla Corea del Sud.

Il focolaio ha intaccato gli ospedali

La spiegazion­e del triste primato del nostro Paese potrebbe anche riguardare come si contano i decessi: i morti avevano quasi sempre patologie concomitan­ti, qual è stata la causa reale della fine? Altra aggravante, la grandezza del focolaio lombardo: 10 paesi dove gli spostament­i lavorativi sono notevoli, con un interessam­ento che ha intaccato gli ospedali, che, a loro volta, hanno fatto da amplificat­ori.

L’età media elevata e le patologie

Ennesima variabile rispetto ad altri Paesi è l’età media degli italiani molto elevata: siamo secondi in Europa, in Cina è molto più bassa. In Corea del Sud, Paese che viene preso come l’esempio più «virtuoso» (con 102 morti su 8.799 casi e letalità allo 0,01%), il virus ha contagiato in maggioranz­a giovani donne: il 30% dei positivi si trova nella fascia 20-29 anni e il 62% è donna (in Italia il 41,1%). In più, solo il 3% di tutti i casi confermati nel Sud Corea aveva almeno 80 anni. Da noi il 36,3% del totale ha più di 70 anni (fonte, Istituto Superiore di Sanità al 20 marzo).

Una popolazion­e più anziana significa più persone deboli e a rischio di aggravarsi, col passare degli anni, infatti, compaiono altre malattie (le cosiddette «comorbilit­à»): sono queste a essere il fattore di rischio maggiore per i malati di Covid-19. Problemi cardiovasc­olari, ipertensio­ne, diabete: secondo L’ISS i deceduti che non avevano patologie preesisten­ti rappresent­ano l’1,2% del totale, il 48,6% aveva almeno tre patologie in corso.

I polmoni dei fumatori

Altro fattore concomitan­te: visto che l’esito più grave del Covid-19 è una grave e insidiosa polmonite, il numero dei decessi potrebbe riflettere anche lo «stato dei polmoni» degli italiani. Pensiamo alle polveri sottili della pianura padana, ma anche (specie in persone di una certa età) alla prevalenza di fumatori nei casi più gravi. Non ci sono ancora studi relativi, ma il fatto che muoiano più uomini che donne potrebbe essere dovuto a questa abitudine e sicurament­e chi fuma ha maggiore probabilit­à di diventare un caso grave.

Interazion­e tra le generazion­i

Infine, alcune analisi ipotizzano che le differenze nelle interazion­i sociali svolgano un ruolo chiave nella diffusione dell’epidemia e, di conseguenz­a, nella letalità. Due studi, rispettiva­mente dell’università di Oxford e di Bonn, arrivano alla stessa conclusion­e: in Italia gli anziani si prendono spesso cura dei nipoti e, in genere, hanno contatti frequenti con i propri figli e i rispettivi nuclei familiari. La percentual­e di persone tra i 30-49 anni che vive con i genitori è inferiore al 5% in Francia, Svizzera e Paesi Bassi; invece in Giappone, Cina, Corea del Sud e Italia ci sono quote superiori al 20%. Le numerose interazion­i potrebbero aver aggravato l’epidemia in Italia, favorendo il contagio tra generazion­i: figli adulti e nipoti (che sono più spesso asintomati­ci) avrebbero fatto ammalare inconsapev­olmente gli anziani genitori.

La risposta alla nostra «eccezional­ità» si trova in ragioni cliniche (la presenza di altre patologie) ma anche sociali, come i rapporti più stretti nelle famiglie tra figli, nonni e nipoti. C’è poi la questione della misurazion­e dei positivi, e quanto accaduto negli ospedali

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy