Semplice, veloce e trasparente La democrazia del «dopo»
Epidemia Per la prima volta dal dopoguerra sessanta milioni di italiani volgeranno, tutti, contemporaneamente lo sguardo verso chi governa, verso chi decide
Avremo un gran bisogno di semplicità. La democrazia, se vorrà sopravvivere a questo tsunami, dovrà scrollarsi di dosso una delle più solide e apparentemente robuste garanzie della sua stessa esistenza.
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SEGUE DALLA PRIMA a complessità, lungi dall’essere — come è giusto — una modalità di interpretazione del presente è stata , nell’edificarsi degli Stati, anche un modus vivendi e un modus operandi delle istituzioni.
Più la materia, la legge, il linguaggio sono complesse, più esse sono elitarie, e richiedono una forma di mediazione del rapporto tra cittadino e norma. La ricerca di qualcuno che sappia o, peggio, di qualcuno che conosca qualcuno. La reazione ai barocchismi del linguaggio pubblico è stata, in questi anni, la semplificazione brutale, la riduzione della complessità obiettiva delle cose a schema demagogico, a invettiva populista. Le parole prima astruse, lontane, respingenti si sono fatte troppo semplici per essere vere e persino per essere sincere.
Il linguaggio della democrazia, se vuole rafforzarsi e non essere travolto da questa crisi drammatica dovrà trovare una nuova forza nella sua autentica semplicità. Le persone, uscite stremate da questo incubo, cercheranno soluzioni. Per la prima volta dal dopoguerra sessanta milioni di italiani volgeranno, tutti, contemporaneamente lo sguardo verso chi governa, verso chi decide. Lo faranno forse ancor prima di abbracciarsi. Lo faranno perché quando, non se, supereremo questa crisi, ci troveremo di fronte al secondo ostacolo.
I cittadini cercheranno di ritrovare la loro vita. Cercheranno
il lavoro che avevano, la condizione sociale che da un giorno di questo marzo maledetto hanno sentito sfuggirgli via. Cercheranno i soldi per far mangiare la famiglia, per saldare l’affitto, per garantire la retribuzione ai propri dipendenti. E l’economia non potrà aspettare le contorsioni dei legulei.
Bisognerà tornare subito a consumare e, dunque, a produrre. Ci vorranno soldi che giungano presto nelle tasche degli italiani. Non devono arrivare complicati moduli da riempire e l’indicazione di uffici presso cui fare un’interminabile fila. Lo Stato sa chi ha
d Futuro
Ora, proprio ora, bisogna sapere cosa fare appena le porte delle nostre case si saranno riaperte
diritto, conosce la situazione patrimoniale e reddituale di ciascun cittadino- gli evasori mai come oggi appaiono l’orrore tollerato di un Paese sbilencoe dunque chi ha diritto a cosa.
E se non lo sa renda tutto semplice, veloce e, dunque, trasparente. Non si può essere veloci solo nell’emergenza. La velocità deve diventare sinonimo di nitidezza, di efficienza. Una casa di vetro può essere veloce. L’oscurità nasconde lentezza e opacità.
La democrazia non è per sempre, come il gioiello della pubblicità. La democrazia vince sfide e domina cicloni.
Lo fece, mostrando la sua superiorità sulla dittatura, dopo il secondo conflitto mondiale. Oggi, nell’ora più buia, la democrazia deve essere il rifugio di garanzia di ogni italiano. Altrimenti nulla è scontato. Lo spirito di collaborazione e il senso di comunità di questi giorni potranno trasformarsi in odio e richiesta, poco importa se illusoria, di un uomo forte che decida presto e per tutti. Lo scambio della libertà per la decisione, in un tempo di disperazione sociale, può apparire conveniente.
Tocca alla democrazia inverarsi, subito. Non ci sono due fasi. Non esiste un «dopo la crisi». Ora, proprio ora, bisogna sapere cosa fare appena le porte delle nostre case si saranno riaperte e queste ambulanze, che sono diventate il solo rumore che entra dalle nostre finestre, saranno tornate a fare il loro discreto lavoro.
Non bisognerà cercare pezze a colori per fronteggiare l’emergenza, ma impostare un nuovo ciclo di crescita. Le crisi sono anche opportunità. Persino le macerie di San Lorenzo o di Milano furono la leva per fare dell’italia, in poco tempo, un Paese moderno. La democrazia dovrà dimostrare non di fare piccolo cabotaggio ma di saper progettare, so che sembra assurdo dirlo ora, un nuovo ciclo di grande crescita di consumi, lavoro, impresa.
La democrazia, oggi, deve farsi semplice, veloce, trasparente.
L’impero romano, nel passaggio da Antonino Pio a Marco Aurelio, fu scosso da una pandemia terribile, la «peste Antonina». Nel 165 dopo Cristo, come scrive Kyle Harper nel suo bellissimo Il destino di Roma, si diffuse in tutto l’impero — reso più globale dalla rete di navigazione e dal movimento degli eserciti — «un virus che si contraeva attraverso l’inalazione di goccioline espulse da una persona contagiosa e sospese nell’aria… Durante il periodo asintomatico il paziente non era contagioso, ma neppure così debole da restare immobilizzato, il che significava che il virus poteva essere trasmesso lontano e velocemente». La pestilenza vanificò «un secolo e mezzo di solida crescita» della potenza di Roma. L’impero sopravvisse, ma era ormai contagiato e «nei futuri incontri con nuovi germi non sarebbe stato del tutto all’altezza delle sfide che la natura aveva in serbo».
Marco Aurelio, imperatore colto, scrisse poi nel suo diario: «Persegui pure quanti conosci uno dopo l’altro: costui ha dato sepoltura all’amico e poi è morto; e un altro ha fatto lo stesso. Il tutto in breve corso di anni. La conclusione? Devi volgere lo sguardo sulle umane vicende, conscio della loro precarietà, del loro scarso valore; ieri, tanta boria; domani, mummia o cenere. Bisogna quindi trascorrere questo breve istante del tempo secondo natura e partirsene poi tranquilli. Essere uguale al promontorio contro cui senza posa si spezzano le onde; e quello se ne sta immoto e attorno a quello s’addormenta la gonfia protervia del flutto».
Ecco: la democrazia, ne va della sua sopravvivenza, deve ora, attraverso la trasparenza e la semplicità, farsi promontorio.