Un’immagine che è già nella storia
Ieri, verso l’ora di pranzo, ricevo via Whatsapp l’ennesimo allegato. Ne circolano a migliaia, in questi giorni, alcuni davvero belli (a me è piaciuta molto la tavola calda di «Nighthawks» di Edward Hopper completamente vuota, senza nemmeno il barista e i tre avventori), ma i più sono disperatamente comici, troppo, e suonano quasi oltraggiosi.
Arriva, questo allegato, da una chat di amici di Prato e lo apro senza aspettarmi niente di particolare: invece – bum! Si tratta della foto del giorno, forse dell’anno, l’immagine che meglio di tutte ha finora saputo riassumere la surreale, perturbante, violenta alterità di questo momento storico. È stata scattata da una persona comune, cioè non un fotografo professionista, a Prato, per l’appunto, ieri mattina, da una finestra che dà sul piazzale dell’esselunga, e mostra — l’avete vista di sicuro, e comunque è qui accanto — una lunga coda di persone che aspettano il proprio turno per entrare nel supermercato, ordinata e soprattutto perfettamente rispondente alla disciplina del distanziamento che tanta fatica facciamo ad assimilare, in Italia, nonostante sia l’unica difesa che abbiamo contro la diffusione del contagio.
La prima cosa che viene in mente, vedendola, è «Golconda» di Magritte, il celebre quadro in cui si vedono le persone sospese nell’aria come nere gocce di pioggia e, appunto, distanziate l’una dall’altra in maniera geometrica e inquietante (inquietante proprio perché geometrica). «Distanziate» da quasi settant’anni (Golconda è del 1953), quelle due immagini si parlano, è così chiaro: meno chiaro è cosa si dicano, ma questo dipende dal fatto che ormai ogni lingua è diventata improvvisamente difficile capire, anche la più familiare — figuriamoci quella che si inventano le immagini per comunicare tra loro. In ogni caso, come sempre quando parliamo di foto storiche, vi è in quello scatto un che di unico ed esemplare — ciò che tutti volevamo vedere e nessuno però aveva ancora visto. Quella coda, infatti, è perfetta, ripiegata più e più volte su se stessa per sfruttare per intero la grande superficie del piazzale, e si dipana ordinatamente senza bisogno di una sola transenna.
Io l’ho subito postata su Twitter e nel giro di poche ore ha avuto migliaia di visualizzazioni, di like e di commenti. Altrettanto accadeva nel frattempo su Facebook dove qualcun altro l’aveva messa — e io, che sono pratese, anche se abito a Roma, me ne sono inorgoglito. Perché, evidente quanto la parentela con Magritte, in questa foto c’è un che di «cinese» che affratella: qualcosa di cui fino a oggi noi, in quanto italiani, davamo per scontato di essere incapaci; qualcosa di militaresco, certo, e dunque di pregiudizialmente incompatibile con la vulgata delle libertà al plurale che prolifera in seno alle democrazie occidentali. E invece...
Insomma, Prato negli ultimi anni è stata associata all’immigrazione cinese sempre per motivi di conflitto, ma questa foto dimostra che la «cinesità» non è incompatibile con la nostra natura e con il nostro sistema politico, che stare incolonnati a distanza di due metri l’uno dall’altro è facilissimo anche per noi. Se ancora in Italia non l’abbiamo fatto come si deve è perché ci è stato detto male. A Prato è stato detto bene, e la gente lo ha fatto. E a dirlo, a Prato, sono stati proprio i cinesi. Tornati a migliaia in città dopo aver trascorso il proprio capodanno in madrepatria, si sono autoreclusi nelle loro case intorno a via Pistoiese e ci sono rimasti quasi un mese. E quando sono usciti hanno visto cose che non andavano bene, e l’hanno fatto presente in tutti i modi possibili. Hanno dialogato con l’amministrazione della città, che saggiamente li ha ascoltati; hanno distribuito, nelle cassette delle lettere dei pratesi, trentamila kit di protezione guanti-mascherina, e c’è un video molto bello che lo mostra, prodotto da Camillo Wang, proprietario di una delle più importanti stamperie toscane. Hanno insegnato alla città a difendersi dal virus, e la città — come formidabilmente dimostrato da questa foto — ha imparato.
Risultato: Prato è a oggi la città con meno contagi e soprattutto con meno morti (5) di tutta Italia, in rapporto alla popolazione. Certo, basta un niente e tutto può cambiare; certo, nell’ospedale medici e infermieri sono ancora a forte rischio come nel resto d’italia, ma il comportamento virtuoso della città deve essere evidenziato, così come dev’essere evidenziato il fatto che a ispirarlo sono stati i cinesi, cioè quelli che fino a oggi in molti consideravano il problema di Prato. Comunque vada a finire questa faccenda (e speriamo davvero che finisca presto, come sta finendo in Cina), quando sarà finita Prato, pur rimanendo uguale, sarà una città diversa. E se lo sarà Prato, potrà esserlo l’italia intera.