Corriere della Sera

«Te ne sei andata sola, ma io ero lì con te» Le ultime parole di addio affidate ai necrologi

I pensieri toccanti di mariti, mogli e figli addolorati «Le esequie si terranno non appena possibile» Il caso dell’eco di Bergamo: oltre 10 pagine al giorno

- Giusi Fasano Donatella Tiraboschi

L’ addio porta la firma di Romano: «Ciao Emilia, amore mio. Abbiamo camminato insieme per una vita, uno di fianco all’altra. Adesso siamo in pace e insieme per sempre».

Romano Zanini era un imprendito­re di Sesto San Giovanni, aveva 81 anni ed è morto il 7 marzo. I suoi figli, Bruno e Alessandro, due giorni fa hanno pubblicato questo necrologio a suo nome sul Corriere della Sera, perché 12 giorni dopo aver pianto lui hanno perduto anche la madre Emilia, 77 anni.

Il virus toglie il fiato e l’umanità di un ultimo saluto a chi si ama. E allora diventano potenti le parole, anche quelle postume. Diventano abbracci, baci e carezze negate per chi lascia questo mondo respirando i suoi ultimi giorni in un reparto Covid. Le parole come unico addio possibile. Sulle pagine delle necrologie, sui fogliettin­i di carta fatti avere ai malati assieme alla biancheria, sulle lettere date agli impresari funebri per infilarle nelle bare...

«Hai lottato, hai sofferto tutta sola, alla fine ci hai lasciato per raggiunger­e il tuo amato Romano. rimarrete sempre insieme. La tua gentilezza, il tuo amore saranno sempre con me» scrive Bruno nel necrologio affidato al Corriere per sua madre Emilia. Il messaggio del fratello Alessandro dice: «Te ne sei andata anche tu sola e senza nessuno di noi vicino. Sono sicura che ti sei accorta che sono sempre stato lì con te. Ti stringevo, ti baciavo e ti abbracciav­o sempre, notte e giorno. Ti ho tenuto per mano e ti ho accompagna­ta dal papà».

Alla fine di un necrologio che invece pubblichia­mo oggi, i familiari di una signora che si chiamava Anna Maria Pucci scrivono quel che vale ormai per tutti i morti di queste ultime settimane, e cioè: «Le esequie si terranno quando possibile».

L’emergenza ha annullato la ritualità della cerimonia funebre e tutti, ma proprio tutti i parenti di chi muore in questo tempo sbagliato, promettono a loro stessi di fare altro e di più per onorare — chissà quando — la memoria di chi hanno perduto.

Si fa strada ogni giorno di più il bisogno di far sapere al mondo che chi si è tanto amato se n’è andato solo, è vero, ma non è stato mai abbandonat­o. Fa male sapere che i morti finiscono nelle bare senza i vestiti, chiusi dentro sacchi di plastica. E con i loro messaggi, le loro preghiere, le famiglie cercano un rimedio agli oltraggi del virus.

La media delle partecipaz­ioni che un quotidiano come il nostro pubblica ogni giorno è fra i 40 e i 50. In quest’ultima settimana la cifra è cresciuta fino a oltre 200, e molti dei nomi di quella lista appartengo­no a uomini e donne caduti nella guerra al coronaviru­s, il «killer invisibile», come lo definiscon­o in tanti. Il 16 gennaio di quest’anno — per dire — i messaggi nella pagina delle necrologie erano 52. Lo stesso giorno di marzo, cioè all’inizio di questa settimana, sono stati 223.

Anna Mercalli, la figlia di un imprendito­re di Vigevano, l’altro giorno ha dedicato una lunga lettera al padre Luciano, ucciso dal virus nel giro di pochi giorni. Voleva che lui sapesse quello che non aveva fatto in tempo a dirgli: «Ciao papà, in tanti mi dicono che quando parlo di te mi si illuminano gli occhi. E non può che essere così. Sei sempre stato l’uomo della mia vita, padre presente, punto di riferiment­o di ogni azione, esempio da seguire, faro dell’esistenza...».

A Bergamo e nella sua provincia il numero dei morti da Covid-19 è così enorme che il servizio necrologie del quotidiano locale storico — l’eco di Bergamo — è diventato un caso: ogni giorno più di dieci pagine per elencare i nomi di chi non ce l’ha fatta. Ieri erano dodici. Una distesa di croci, fotografie spesso sfuocate, parole per ringraziar­e medici e infermieri. Pochissimi di quell’elenco sterminato se ne sono andati per cause diverse dal coronaviru­s.

Giovanni è fra i nomi di ieri. Aveva 60 anni, era un farmacista molto conosciuto della val Brembana dove fu fra i primi a occuparsi di birra artigianal­e e a diventare mastro birraio. Un tipo sportivo, montanaro e scalatore appassiona­to. Ha vissuto i suoi ultimi sei giorni in una terapia subintensi­va, con i polmoni a chiedere aria e gli occhi a guardare un panorama di mascherine, visiere, camici, respirator­i... Il saluto per lui parla di un bene «che ci avvicina in un periodo che ci obbliga a stare divisi».

La famiglia di Giuseppe invece mette in fila i nomi di una decina di medici e infermieri da ringraziar­e per essersi presi cura di lui «con affetto e infinita passione». A loro l’incoraggia­mento più grande: «Fateli guarire tutti!».

Ci sono medici ai quali tocca il compito ingrato di chiamare a casa dei pazienti e avvisare della loro morte. Una prova durissima. Dall’altro capo del filo le lacrime, i sensi di colpa per non aver potuto stare accanto a chi sia amava. E comunque — sempre — la telefonata si chiude con un grazie che non ha nulla di formale. Come quello scritto nei necrologi. «Grazie», sapendo che non sarà mai abbastanza.

I ringraziam­enti Negli annunci così come nelle telefonate non manca mai un grazie ai medici

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I camion dell’esercito trasportan­o le salme delle vittime di Covid-19 da Bergamo al cimitero di Ferrara. In alto annunci funebri a Serina(lapresse/afp)
Corteo I camion dell’esercito trasportan­o le salme delle vittime di Covid-19 da Bergamo al cimitero di Ferrara. In alto annunci funebri a Serina(lapresse/afp)
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