LE PROTEZIONI
L’esplosione dei costi per fornirle almeno a chi lavora Praga sottrae 680 mila pezzi spediti in Italia dalla Cina Il sequestro di farmaci e respiratori destinati all’export
La segnalazione è arrivata ieri sera poco prima dell’ora di cena dall’agenzia delle Dogane: dalla Lombardia stava partendo verso l’estero una partita di dosi di un farmaco essenziale per mantenere sedati i pazienti finiti in terapia intensiva per Covid-19. Il produttore aveva dovuto specificare la natura della spedizione nei moduli per l’export e le dogane hanno subito girato i dati al ministero della Sanità, che li ha mandati all’ufficio di Domenico Arcuri all’estrema periferia nord di Roma nella sede della Protezione civile.
Nel giro di qualche minuto Arcuri, da quattro giorni formalmente commissario straordinario, ha firmato un provvedimento da tempo di guerra: requisizione immediata (con indennizzo). Non è stata la prima misura del genere da parte di questo manager, presidente di Invitalia, al quale il governo ha dato ampi poteri esecutivi per garantire a un Paese nella morsa dell’epidemia tutte le forniture che servono di farmaci, dispositivi salva-vita, strumenti di protezione come le mascherine o le tute ospedaliere.
Uno dei primi atti del commissario è stata la requisizione di 340 respiratori nei magazzini della Siare Engineering, già destinati all’export verso l’asia. L’azienda di Valsamoggia, vicino a Bologna, è la sola in Italia a produrre ventilatori e da subito ha avviato con Arcuri una stretta collaborazione: ora venticinque esperti del genio militare lavorano negli impianti e il gruppo Fca (inclusa Ferrari) collaborano al ciclo produttivo.
In un altro caso Arcuri ha fatto requisire attraverso l’agenzia delle Dogane dei componenti di sistemi di rianimazione
I diversi tipi pronti per l’export e, poco dopo, ha bloccato una partita di strumenti di protezione in arrivo: l’importatore dall’estremo Oriente stava organizzando una rivendita all’estero a prezzi molto maggiorati. Proprio le mascherine sono forse oggi il fronte nevralgico della battaglia per le forniture.
Ieri è atterrato a Malpensa un cargo dal Cairo con 900 mila pezzi, che era bloccato da giorni in Cina ed è emerso che, incredibilmente, la Repubblica Ceca ha sottratto un’altra spedizione in transito da Pechino all’italia attraverso Praga da 680 mila pezzi (più migliaia di respiratori). Ma quelle partite oggi coprono il fabbisogno italiano per qualche ora, non di più. L’ufficio di Arcuri ha ormai stime precise. Per rispondere alle necessità degli ospedali e di tutte le altre aziende, dopo l’accordo fra sindacati e imprenditori di una settimana fa, serve un numero enorme di maschere monouso: 90 milioni di pezzi al mese di quelle definite «chirurgiche» (in realtà le più semplici, in tessuto non tessuto) e fra 30 e 40 milioni al mese del modello FFP2, che protegge di più e viene usato negli ospedali.
L’italia aveva smesso da anni di produrre quei beni, perché sembravano a basso valore aggiunto. Prima della crisi i modelli chirurgici, fatti in poliammide o in poliestere, si vendevano al massimo a dieci centesimi a pezzo. Adesso sono sul mercato a 60 centesimi l’uno all’ingrosso, mentre ieri sera su Amazon e Alibaba si vendevano per pacchetti al dettaglio anche a due euro a pezzo. Dato il fabbisogno in Italia, i prezzi attuali comporterebbero una spesa pubblica di circa un miliardo in un anno.
Ma il problema principale resta la sicurezza delle forniture,
Centinaia di imprese stanno per riconvertirsi e hanno mandato le candidature all’iss
non il costo. Una delle missioni urgenti della squadra di Arcuri è l’avvio entro un mese di una maggiore produzione interna, anche in deroga ai requisiti di legge preepidemia. Centinaia di imprese in settori paralizzati — soprattutto tessile o moda — stanno già cercando di riconvertirsi e hanno mandato candidature all’istituto superiore di sanità: vanno specificati materiale, processo produttivo e il tipo di maschera che si intende produrre. L’investimento iniziale in macchinari è di circa 250 mila euro, ma se c’è il via libera dell’iss, fatte le verifiche, Arcuri ha un bilancio di 50 milioni di euro da investire in incentivi con un tetto di 800 mila euro a impresa.
Non tutte le richieste sono accolte, se non convincono. Ma già domani partono le prime richieste di autorizzazioni di aiuti di Stato per Bruxelles, che si è impegnata a rispondere in alcune ore. In poche settimane, l’italia e le sue strutture pubbliche e private sono discese in un’economia di guerra. Ora va vinta.
Quello iniziale in macchinari è di 250 mila euro. A bilancio 50 milioni in incentivi