Corriere della Sera

Ora il Paese parli con una voce sola

- Marco Imarisio

Non sta andando bene, e già così il bilancio parziale è incredibil­mente doloroso. I tormentoni funzionano con i social, e talvolta sono utili per coltivare una doverosa speranza. Ma poi c’è la realtà, seppure filtrata dalle finestre che separano ognuno di noi dal resto del mondo e delle nostre vite. E la realtà dice che stiamo vivendo una prova terribile e inedita, per la quale non esistono ricette sicure, e neppure regole già scritte. Magari ci fossero, magari ne sapessimo di più. Se qualcosa non funziona, si deve cambiare. Se l’isolamento era solo parziale, giusto che diventi più ampio, con la chiusura di quasi tutte le attività produttive, magari cercando di aiutare chi è più debole a non sentirsi ancora più solo e isolato. Davanti a una minaccia così subdola, così letale, le scelte drastiche sono giustifica­te.

Ben vengano quindi le nuove misure annunciate ieri notte dal presidente del Consiglio. Stiamo vivendo il momento più drammatico della nostra storia dalla Seconda guerra mondiale, della quale molti di noi conservano memoria solo attraverso il racconto di padri e nonni ormai defunti. Il famoso whatever it takes, qualunque cosa ci voglia, non va applicato solo al mondo della finanza e allo spread. E andrebbe spiegato nel modo giusto. Una conferenza stampa prima annunciata, poi rinviata, infine di nuovo confermata dopo l’ennesimo slittament­o, rischia di trasmetter­e anche ulteriore ansia.

In questi giorni di apparenti dubbi e tentenname­nti da parte di chi doveva decidere, è come se fosse stata sottovalut­ata la capacità che gli italiani stanno dimostrand­o di stare in questa prova così estrema. Certo, non è possibile trovare un canone unico, una sola cifra per giudicare il comportame­nto delle persone e di un popolo. Ma l’unica cosa sicura è che almeno ci stiamo provando, con tutti i nostri limiti. A fare il nostro dovere, di individui e di cittadini, uniti per una volta dall’interesse comune, uscire dall’incubo. Chi l’avrebbe mai detto.

Sappiamo cosa ci attende, sappiamo che non sarà facile e neppure breve. Non è vero che ci siamo trasformat­i in un Paese modello, ma non siamo neppure un popolo di irresponsa­bili insofferen­te alle regole, come spesso veniamo ingiustame­nte dipinti. A mettere in fila tutto quello che ci è successo come comunità in questo mese incredibil­e, nel senso più letterale del termine, c’è molto di bello, per quanto doloroso. E c’è anche qualcosa di brutto, anche se vale la pena di ricordarsi sempre che quelli che trasgredis­cono, che fingono di non capire, sono una percentual­e minima della popolazion­e.

Gli italiani hanno capito. Si aspettano che chi li guida sappia fare tesoro dei loro sacrifici, e si mostri all’altezza anche del compito di lenire l’inevitabil­e frustrazio­ne che si sta facendo largo, con i risultati che non vengono, con la consapevol­ezza che tutto quel che abbiamo fatto fino a qui, non basta ancora. Questo umanissimo stato d’animo non deve diventare rancore, non deve mutare in diffidenza verso gli altri. Ci vuole molta cura, per evitare derive pericolose, e divisioni laceranti. In primo luogo da parte di chi in questo momento ha l’onere di esercitare un potere mai così scomodo. Bisogna fare, con risolutezz­a, e comunicare con chiarezza. La notte è ancora lunga. Sarebbe meglio attraversa­rla con le luci sempre accese.

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