Corriere della Sera

Putin e il gioco di prestigio per rimanere sempre al comando

- di Sergio Romano

Per capire che cosa sta succedendo al vertice dello Stato russo conviene tornare alla metà di gennaio, quando il presidente Putin licenziò il primo ministro Dmitrij Medvedev, lo sostituì con un alto burocrate a noi ignoto (Michail Mishustin), promise che il governo e il Consiglio di Stato (un vecchio organo costituzio­nale nato in epoca zarista e oggi alquanto sbiadito) avrebbero avuto maggiori poteri. Sottopose l’intero pacchetto, per un parere, alla Corte costituzio­nale e annunciò che avrebbe chiesto con un referendum l’approvazio­ne del Paese. Da quel momento i russi cominciaro­no a chiedersi quale sarebbe stato in questo rimpasto il ruolo di un presidente che, con le regole oggi in vigore, sarebbe costretto a terminare la sua carriera politica nel 2024. Tutti dettero per scontato che volesse uscire dalla porta per rientrare dalla finestra. Ma con quali funzioni e poteri? Sarebbe diventato presidente di un nuovo Stato, nato dal matrimonio fra Russia e Bielorussi­a? Sarebbe diventato presidente del nuovo Consiglio di Stato per farne il maggiore organo costituzio­nale del Paese? La prima soluzione non piacque, comprensib­ilmente, al presidente bielorusso Aleksander Lukashenko, mentre la seconda non è piaciuta allo stesso Putin, convinto, probabilme­nte con ragione, che avrebbe avuto per effetto una pericolosa diarchia. La risposta a tutte queste domande è arrivata qualche settimana dopo, durante una seduta della Duma sulla riforma costituzio­nale, quando una famosa cosmonauta (Valentina Tereshkova) ha fatto approvare una mozione che libera Putin dal vincolo dei due mandati e gli permette di candidarsi alla

Il paragone Raramente in passato Russia e Stati Uniti hanno dimostrato di essere così somigliant­i

presidenza per la quarta volta. Putin ha naturalmen­te incassato il voto della Duma e ha aggiunto che nell’epoca di una grande pandemia la continuità del potere è la migliore delle soluzioni possibili. Molti russi, soprattutt­o fra i giovani, avrebbero preferito un volto nuovo, ma Putin continua ad avere un’alta percentual­e di consensi e il suo riferiment­o al coronaviru­s è un argomento non privo di una certa logica. Abbiamo visto che la crisi sanitaria esige governi pronti a prendere rapidament­e decisioni difficili e che alcuni uomini di Stato sono stati sollecitat­i dagli eventi ad assumere una responsabi­lità personale. Trump, Macron e Boris Johnson sono passati da una posizione più o meno sdrammatiz­zante a una posizione che molti giudichere­bbero addirittur­a drammatizz­ante. E il caso cinese ha confermato Putin nella sua convinzion­e che le dittature, in queste circostanz­e, siano meglio attrezzate delle democrazie. Non è tutto. Putin dirà ai suoi connaziona­li che nei prossimi mesi la Russia dovrà difendere il suo petrolio contro quello saudita e Usa. Spiegherà, come ha detto il presidente francese, che «siamo in guerra» e che quando si combatte non si cambia il capo dello Stato. È quello che Donald Trump dirà ai suoi elettori durante la campagna per le elezioni presidenzi­ali di novembre. Raramente in passato Russia e Stati Uniti hanno dimostrato di essere così somigliant­i.

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