Corriere della Sera

«I predatori ci indicano i mari da salvare»

- Di Sara Gandolfi

● Ha passato lunghi periodi a osservare i pinguini Adelia

S ilvia Olmastroni è una veterana dell’antartide. Vi è andata dieci volte, la prima nel 1996. E da allora molte cose sono cambiate. «C’è una presenza umana maggiore, sono state costruite nuove basi scientific­he e ho visto anche un forte aumento delle imbarcazio­ni da turismo. Più navi passano, più aerei atterrano, maggiore è il rischio di incidenti, sversament­i di carburante, oltre ai batteri che possiamo portare con il vestiario, gli scarponi... L’antartide non ha difese contro certi tipi di contaminaz­ione».

La ricercatri­ce ha passato lunghi periodi in campi remoti, a osservare per giorni i pinguini Adelia. «Un’esperienza molto profonda, anche umanamente, con gli altri scienziati si crea una vicinanza straordina­ria. L’antartide è uno dei pochi posti dove c’è ancora voglia di fare le cose insieme, per il bene comune». Da quella voglia è nato un ambizioso studio internazio­nale, coordinato dal Comitato scientific­o per la ricerca antartica (Scar) e pubblicato sulla rivista Nature. Attraverso l’enorme mole di dati raccolti tra il 1991 e il 2016 sono stati tracciati gli spostament­i dei predatori marini antartici — balene, otarie, foche, pinguini e altri uccelli — con l’obiettivo di individuar­e le aree dell’oceano Meridional­e strategich­e per la loro sopravvive­nza. La ricerca ha coinvolto dodici programmi nazionali antartici e settanta studiosi da tutto il mondo, tra cui appunto Olmastroni dell’università di Siena, unico ente italiano partecipan­te. Sono stati osservati, complessiv­amente, 4.060 animali, sui quali sono state rilevate 2,9 milioni di coordinate spaziali attraverso l’utilizzo di strumenti progettati per d

Silvia Olmastroni

L’oceano Antartico è vastissimo, oltre 20 milioni di chilometri quadrati: studiarlo è come comporre un puzzle le varie specie: geolocator­i con sensore della luminosità, trasmettit­ori satellitar­i, Gps.

«L’oceano Meridional­e non è indenne ai cambiament­i dovuti allo sfruttamen­to delle risorse marine ad opera dell’uomo e causati dal mutamento climatico e dall’inquinamen­to — spiega la collaborat­rice del dipartimen­to di Scienze fisiche, della terra e dell’ambiente dell’ateneo senese e del Museo Nazionale dell’antartide “Felice Ippolito” —. Queste alterazion­i spingono i predatori a spostarsi verso nuove zone, che dovrebbero diventare aree marine protette. Cetacei e pinguini si muovono verso aree dove possono nutrirsi di krill, elefanti marini e albatri in aree ricche di pesce e calamari. Se tutti questi animali e le loro diverse prede si concentran­o nella stessa zona, allora quest’area ha un’alta diversità biologica e quindi un importante significat­o ecologico».

I ricercator­i dell’università di Siena sono impegnati dal 1994 nel monitoragg­io a lungo termine del pinguino di Adelia, attraverso il Programma nazionale di ricerche in Antartide. Sono state effettuate quattordic­i spedizioni e intorno alla base italiana Mario Zucchelli, nel Mare di Ross, è stata raccolta una gran quanti

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