Ospedale da campo Crema tiene duro
Ringraziare, mi sembrava doveroso. Ringraziare, guardare e salutare, senza stare tra i piedi. Perché chi deve montare un ospedale da campo in due giorni non ha tempo per la conversazione. Appoggio la bicicletta al cavalletto: da casa, ho pedalato per settecento metri. Mai avrei immaginato di vedere le gru, i camion e le tende gialle con le croci rosse nel parcheggio davanti al pronto soccorso. Crema è piccola, spiccia e robusta, la sorella piccola di Bergamo in provincia di Cremona. Ma oggi ha bisogno di aiuto, e l’aiuto è arrivato. Ci sono 271 contagi in città, 919 in tutto il cremasco. L’ospedale — che all’inizio ha assistito Codogno e la bassa lodigiana — non ce la fa più.
È arrivato il 3° Reparto Sanità «Milano», di base a Bellinzago Novarese. Esercito italiano, trenta uomini. Quindici — mi spiega il tenente colonnello Michele Ricci, che li comanda — resteranno a Crema dopo l’allestimento: 32 degenze, tre in terapia intensiva. Oggi arriva a Malpensa un gruppo di medici cubani che ha lavorato durante le epidemie. Li ospiterà la Caritas diocesana. I militari alloggeranno invece nell’ex tribunale, qui di fianco. «Mi avevano detto: “Sa, è chiuso da un po’...”. L’ho visto e va benissimo: per noi è un sogno avere un tetto sulla testa». Carroattrezzi, allacciamenti, pulizie: le imprese cremasche non hanno voluto essere pagate. Stamattina, domenica, la parte militare sarà finita. Lunedì i medici e i sanitari di Crema si coordineranno con i colleghi di Cuba. Martedì mattina, il primo paziente nell’ospedale da campo. Michele Ricci è di Massafra, provincia di Taranto, è stato in missione in Kosovo, Afghanistan, Iraq: vederlo a Crema è surreale. Le ambulanze arrivano, una dopo l’altra: lo stesso suono di sempre, ma noi non siamo quelli di prima. Attraversiamo il campo in allestimento insieme al sindaco Stefania Bonaldi, che è stanchissima ma riesce a sorridere dietro la mascherina. Ci conosciamo da anni. A Crema ci conosciamo tutti, e conosciamo quelli che sono a casa, contagiati: medici, nostri amici. Intorno il primo sole di primavera, e sembra una provocazione.
Torno a casa, scrivo un messaggio al comandante Ricci per ringraziarlo nuovamente Mi risponde dopo pochi secondi, quasi stupito: «È la nostra terra, no?».