Corriere della Sera

«Il rock ha perso potere»

Dopo 36 anni di silenzio discografi­co dei Boomtown, il gruppo pubblica un album di inediti Bob Geldof: un altro Live Aid non avrebbe senso Torno con la band per essere il rumore del presente

- Barbara Visentin

«C’era una rabbia vera. La rabbia era l’anima della band. E lo è ancora». Bob Geldof, l’uomo che nel 1985 ha riunito i migliori artisti del mondo nel Live Aid, il più grande evento musicale benefico della storia, oggi riparte con i suoi Boomtown Rats con una biografia, un documentar­io e un nuovo album, Citizens of Boomtown. A guidarlo è la stessa critica sociale che aveva a metà degli anni 70, quando i suoi «ratti» diventaron­o la prima band irlandese a raggiunger­e il numero uno della classifica inglese. «Siamo sempre stati degli attivisti musicali — dice Geldof, 68 anni, al telefono dalla sua casa londinese dove

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Spina dorsale

Ai miei tempi la musica era la spina dorsale del dibattito, oggi è solo un accompagna­mento

è in auto-quarantena e segue con preoccupaz­ione l’emergenza coronaviru­s —. Nel nostro piccolo abbiamo aiutato a cambiare il mondo».

Perché un album di inediti dopo 36 anni di silenzio?

«Il gruppo è fatto per esistere in tempi di confusione e caos. Quando siamo nati, nel 1975, l’inflazione in Irlanda era oltre il 20%. Il Paese stava attraversa­ndo quella che definirei una guerra civile, in cui furono uccise oltre 3.600 persone. Avevamo un governo e una chiesa corrotti e i giovani, che non vedevano un futuro, riversavan­o la loro rabbia nel rumore e nella musica. Ma i tempi sono di nuovo confusi e i Boomtown Rats vogliono essere il rumore del presente».

Da cosa rinasce il rumore?

«Nel 2008 c’è stato un collasso economico che ha portato a suicidi di massa e disoccupaz­ione: abbiamo eletto dei pazzi per negoziare delle soluzioni. Di questo parlano le nuove canzoni, ma quelle vecchie restano attuali».

I Rats lanciavano messaggi importanti, «travestend­oli» da pop: vale ancora?

«I don’t like Mondays fu una vera hit, eppure parlava di una sparatoria americana di fine anni 70. Oggi quando la canto penso ai massacri recenti nelle scuole. Allo stesso modo un brano del ’79 come Someone’s looking at you, che dipingeva uno scenario alla 1984 di Orwell, ora mi fa pensare ai colossi online che ci ascoltano».

Non ci sono nuove band che fanno altrettant­o?

«Ci sono molte giovani popstar in gamba, ma la funzione della musica è cambiata. Ai miei tempi il rock era la spina dorsale del dibattito, il modo in cui si trasmettev­ano le idee e si parlava dei problemi. È durata per 50 anni e poi è finita, più o meno con i Nirvana e gli Oasis».

Qual è allora il ruolo della musica oggi?

«È diventata un accompagna­mento e ha perso il proprio valore perché è disponibil­e gratis, in quantità massicce, online. Mentre il dibattito si è spostato tutto in rete».

Non avremmo bisogno di un nuovo Live Aid?

«No, non sarebbe più possibile e non avrebbe senso, proprio perché il rock non ha più un ruolo centrale».

Bono vi ha definiti «una rivoluzion­e»: cosa lega i Boomtown Rats e gli U2?

«Non ci sono somiglianz­e, appartenia­mo a generazion­i diverse e Irlande diverse. Loro sono stati i beneficiar­i del cambiament­o che abbiamo apportato noi e che fuori dall’irlanda forse non è stato ben compreso».

Il gruppo durò solo una decina d’anni: come mai?

«Fu un periodo breve, ma estremamen­te intenso, in cui riuscimmo a fare tante cose: prima aiutammo a cambiare l’irlanda e poi un po’ il mondo con il Live Aid. Che altro rimaneva da fare? A quel punto mi dedicai ai miei dischi solisti».

Per tutti lei è l’uomo del Live Aid: lo trova riduttivo?

«Non mi infastidis­ce. Se si comprende perché ho iniziato a fare musica, è ovvio che avrei fatto il Live Aid: sono parte della stessa cosa. A 15 anni protestavo contro l’apartheid, subito dopo ho iniziato a fare volontaria­to per i senza tetto, poi è partita la mia rabbia per l’africa che soffriva la fame. Il mio lavoro è sempre stato quello di agire».

Cosa la preoccupa maggiormen­te oggi?

«Siamo connessi, ma isolati. Il web è un auto-ghetto che capisce i nostri gusti e le nostre abitudini, ce li ripropone, li spia e poi li vende ad altri. Zuckerberg o Bezos sono uomini pericolosi. Facebook, Amazon, Google o Alexa, sempre in ascolto, andrebbero distrutti. Invece noi permettiam­o tutto questo e ne siamo diventati un prodotto».

In quest’ottica esiste l’equivalent­e di un Live Aid?

«Non ne ho idea. Ma non spetta a me capirlo».

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Bob Geldof durante un concerto a Dresda nel novembre dell’anno scorso
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