Tentato esodo in treno da Milano La polizia blocca 120 passeggeri
Nuova ressa in Stazione Centrale appena viene diffuso il decreto che limita ancora di più gli spostamenti Solo in 50 riescono a salire sui Frecciarossa per il Sud
MILANO «Sono stato ricoverato per un intervento. Sono appena uscito dall’ospedale. Devo tornare a casa».
«Ha i certificati?», chiede il poliziotto della Polfer.
L’uomo mostra la documentazione. Residenza in Campania, dimissioni dal reparto. Pochi minuti per incrociare i dati. «Prego, può andare. Buon viaggio».
Sono da poco passate le 16 di ieri, il decreto del governo che limita ancor più gli spostamenti è appena stato diramato. E gli agenti e i funzionari della Polizia ferroviaria sono in testa ai binari dove stanno per partire i treni più «critici», i due «Frecciarossa» per Napoli e Salerno delle 16.40 e delle 17.10. Per quei due treni ci sono oltre 170 prenotazioni, passeggeri che hanno comprato il biglietto e che in quel momento devono le reali esigenze per le quali possono uscire da Milano. Alla fine, su 170, partiranno meno di 50 persone.
Non sono numeri da «esodo», non c’è la folla in ansia che si riversò in stazione l’8 marzo, quando si diffuse l’informazione dei primi divieti di uscita dalla Lombardia. Anche perché ormai i treni che viaggiano sono pochissimi, e anche i controlli della Polfer, che all’inizio verificavano 5/6 mila autocertificazioni al giorno, sono molto calati proprio per assenza di viaggiatori. Dunque, ieri pomeriggio: niente calca, nessun caos, qualche pianto, delusione diffusa, per malafede (furbizie scoperte) o reale ignoranza (qualcuno sosteneva di avere comunque buone ragioni per la «fuga da Milano»). Di fatto, circa 120 passeggeri hanno preso le valigie e sono tornati a casa. Un ragazzo, oltre il trolley, è uscito in serata dalla stazione Centrale con una decomprovare nuncia per danneggiamento. Sosteneva di essere stato licenziato e di non aver più un alloggio a Milano, ma gli agenti hanno verificato che la struttura che lo ospitava aveva un posto riservato fino al 10 aprile prossimo. Il ragazzo ha urlato, ha sbraitato, s’è agitato, alla fine ha spaccato una colonnina dell’impianto antincendio.
Alcuni professionisti sono stati respinti e hanno reagito con aria da «lei non sa chi soaltrettanto no io», o con (traballanti) argomentazioni giuridiche che provavano a insinuarsi in ipotetiche carenze del decreto appena firmato. Respinti.
Argomentazioni ricorrenti tra chi non è riuscito a partire: «Devo andare a trovare i miei genitori anziani», «ho finito di studiare e devo tornare a casa», «mia madre vive da sola e voglio starle vicino», «qui a Milano in questa situazione non ci voglio più stare». Verifiche sui movimenti che andranno a sommarsi alla massa di controlli di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza (coordinati dalla prefettura): sabato, su tutta la provincia di Milano, sono state fermate per verifica 7.246 persone (oltre 430 sono state denunciate).
Tra chi invece ieri ha potuto legittimamente lasciare la città, c’è stato anche chi ha perso il lavoro, come il ragazzo che intorno alle 17 spiega al poliziotto: «Mi è scaduto il contratto, non me lo hanno rinnovato, qui non ho più un’occupazione, né una casa, e dunque me ne torno nella mia città». Rapido accertamento. Il contratto esisteva e davvero era scaduto. «Può andare». Via dall’epicentro dell’epidemia, su un treno semideserto.