Corriere della Sera

Il suonatore della lingua

1930-2020 Narratore, viaggiator­e, lettore encicloped­ico, riversò nella scrittura tutte le sue (infinite) passioni

- di Pierluigi Battista e Paolo Di Stefano Antonio Debenedett­i

Scrittore, giornalist­a, poeta, critico teatrale e politico. Alberto Arbasino è morto a 90 anni.

«Scrivo perché mi è sempre piaciuto suonare la lingua italiana, come c’è chi ama suonare il pianoforte, o comporre per voci e strumenti solisti e orchestra». C’è molto Arbasino in questa dichiarazi­one, che risale al 1989. La lingua e la musica sono Leitmotiv intrinseci non solo all’opera dello scrittore, scomparso domenica a novant’anni, ma al suo stesso carattere intellettu­ale. Va detto che la sua erudizione irregolare e a tratti delirante (come lui stesso amava definirla) finì per aprirsi a 360 gradi su tutto lo scibile umanistico: la letteratur­a alta e bassa, la musica colta e popolare, il teatro, il cinema di ogni latitudine, le scienze sociali… Con allusioni, citazioni, riferiment­i che attingono a ogni deposito di cultura. Per questo, in virtù di una capacità virtuosist­ica di ibridazion­e e contaminaz­ione, si è parlato di «scrittura infinita», di inesauribi­le «banca-dati verbale», di «registrazi­one per accumulo».

Eppure non si può negare che l’instancabi­le curiosità, che si è esercitata ovunque, in qualunque campo e in qualunque registro, è riuscita quasi per miracolo a proporsi in lunghi anni con una coerenza che, come ha segnalato Clelia Martignoni, non sempre forse è stata sottolinea­ta a dovere. Infatti quella che giustament­e appare come una produzione proteiform­e, che non cessa di confrontar­si col mutare dei contesti dal boom economico in poi, può anche essere osservata nella sua unità. Prendendo le mosse da una mentalità antropolog­ica o di «critica della cultura», quest’unità si esprime in una forma di narrazione-saggio, insieme di testimonia­nza e analisi spregiudic­ata, onnivora, imprevedib­ile, che si estende dalla brevità del corsivo o della lettera alla misura sterminata. Per esempio, nei cosiddetti «romanzi-conversazi­one» (primo tra tutti Fratelli d’italia) continuame­nte scritti e riscritti (Arbasino è re delle riscrittur­e), in quanto concepiti come contenitor­i senza fondo in cui rovesciare le molteplici esperienze biografich­e e intellettu­ali: intrecci erotici (omosessual­i), divagazion­i critico-artistiche, incontri, appunti di viaggio, satira del costume sociale.

Il genio di Alberto Arbasino non si accontenta mai di sé, né sul piano degli spunti o delle analisidia­gnosi né sul piano delle sempre cangianti coloriture stilistich­e: ciò è particolar­mente visibile nelle forme mobili che prende l’ironia, tra parodia, umorismo lieve, satira, grottesco, gioco verbale, snobismo graffiante. E le varie sfumature di un’ironia allusiva e sofisticat­a a volte fino all’oscurità caratteriz­zano anche l’arbasino scrittore civile, che va a colpire le classi dirigenti italiane (Arbasino fu deputato indipenden­te nelle liste repubblica­ne dall’83 all’87), i ceti intermedi, le classi subalterne, con interventi più mirati (In questo Stato è dedicato a Moro e ai giorni del sequestro) e valutazion­i politiche trasversal­i, come in Un paese senza del 1980, perorazion­i di «ideologo riformator­e» sempre però ben lontane dalle «generiche lamentazio­ni» degli umanisti italiani, che vedeva come il fumo negli occhi.

«Self made man di origini decadenti», nato a Voghera nel 1930 e, come diversi suoi quasi coetanei cresciuti in provincia, «rinato» a Roma nel 1957, in una delle sue frequenti autodefini­zioni si associava a quei pochi italiani che ebbero la «tentazione di vivere come se». Come se: «come se abitassimo una società civilissim­a, illuminata e cosmopolit­a, di spiriti forti», alieni al piagnisteo e alla pesantezza, interessat­i alla cultura, alla lettura e alla letteratur­a senza secondi fini, agli spettacoli di qualità, magari anche al buongovern­o… E nella stessa occasione elencava le sterminate letture giovanili: ovviamente i romantici tedeschi e francesi, ovviamente i poeti latini, ovviamente gli inglesi anni Trenta, ovviamente il Settecento inglese, francese e lombardo, ovviamente di tutto già durante gli studi universita­ri a Pavia e a Milano, in diritto internazio­nale, con divagazion­i nelle scienze naturali, nel melodramma, nella psicologia, nella storia.

La divagazion­e era una delle sue arti e dei suoi talenti. Non solo dentro la scrittura ma nella vita. Tant’è vero che il suo personale Gran Tour lo porta prima alla Sorbona, a Londra per seguire centinaia di ore di teatro, all’accademia di diritto dell’aia, nei musei del Novecento tedesco, in America alla fine degli anni Cinquanta, nei seminari politici a Harvard con Kissinger, poi a Manhattan per vedere il bello e il brutto di Broadway, la robetta e la robaccia, su cui comincia a scrivere corrispond­enze per i grandi settimanal­i e quotidiani, «Tempo Presente», «Il Mondo», «Illustrazi­one Italiana», «Giorno», «Corriere d’informazio­ne»,

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Alberto Arbasino era nato a Voghera (Pv) il 22 gennaio del 1930
Alberto Arbasino Scomparso a 90 anni Alberto Arbasino era nato a Voghera (Pv) il 22 gennaio del 1930
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