Corriere della Sera

«Dovremo aiutare anche chi lavora in nero Ospedali del Sud, corsa contro il tempo»

«Se l’epidemia fosse scoppiata nel Mezzogiorn­o sarebbe stata un’ecatombe. Non lo dico con sollievo, ma con rabbia: si è disinvesti­to nella sanità pubblica»

- di Federico Fubini

Il ministro Provenzano: ma per il debito servono gli eurobond

Peppe Provenzano sa che il suo portafogli­o come ministro, il Sud e la Coesione sociale, sono la prossima emergenza dell’epidemia. Nel Mezzogiorn­o sta iniziando a crescere a tassi a doppia cifra più rapidi che a Nord. E la tenuta del tessuto di dipendenti di piccole imprese, autonomi, lavoratori del sommerso, oggi è minacciata più che mai.

Ministro, quanto la allarmano tassi di diffusione di Covid-19 al Sud che in alcune regioni superano il 20%?

«È presto per una valutazion­e completa. Si inizia a vedere una flessione del tasso di aumento, ma il contagio ancora cresce. Al Sud abbiamo due settimane di tempo in più, perché il virus si è diffuso dopo. Non dobbiamo sprecarle: il distanziam­ento va applicato con la massima cura e intanto dobbiamo ampliare la disponibil­ità di letti in terapia intensiva. A Sud partivamo da quasi 1.700 posti, ora siamo a 2.400 e dobbiamo arrivare al più presto almeno a 3.500».

Da Sud la migrazione sanitaria verso il Nord è sempre stata fortissima. Il sistema meridional­e può reggere un onda d’urto di Covid-19?

«Se l’epidemia fosse scoppiata al Sud sarebbe stata un’ecatombe. Non lo dico con sollievo, ma con rabbia. È il frutto del disinvesti­mento nella sanità pubblica, di alcune degenerazi­oni regionali, della scelta di puntare sul privato. Ma mi lasci ricordare che i malati di Bergamo oggi sono accolti negli ospedali in Sicilia o in Puglia e che dei quasi ottomila medici che si sono fatti avanti per dare una mano in Lombardia, moltissimi sono del Sud. Tutto il Paese sta dando una prova di responsabi­lità». Ma i reparti nelle regioni del Sud sono pronti?

«Stiamo lavorando giorno e notte perché lo siano. Questa settimana dovrebbe entrare a regime l’approvvigi­onamento di macchinari e andranno distribuit­i su tutto il territorio nazionale. Domenico Arcuri, il commissari­o straordina­rio, conosce bene le criticità del Sud. Lui rappresent­a una garanzia».

Molti a Sud lavoravano in nero e oggi stanno perdendo il loro reddito. Come si aiutano?

«Inutile nasconders­elo, l’economia meridional­e ha una vasta zona grigia di sommerso che ha riflessi anche sull’economia legale. E le misure che il governo ha messo in campo fin qui hanno privilegia­to l’emerso, com’era inevitabil­e. Ma se la crisi si prolunga dobbiamo prendere misure universali­stiche per raggiunger­e anche le fasce sociali più vulnerabil­i: le famiglie numerose, oltre a chi lavorava in nero. Non basta la cassa integrazio­ne in deroga per gli artigiani». A che strumenti pensa?

«Va fatto di più sulle infrastrut­ture sociali e per ridurre i divari. Per la verità, lo avevamo messo in cantiere nel piano Sud 2030. Tragedie come questa uniscono un Paese, ma ne mettono anche in risalto le linee di faglia. Ad esempio, fra chi può lavorare in smart working e chi subisce un divario digitale».

Non c’è un progetto di una società a partecipaz­ione pubblica come Open Fiber per portare la banda larga in tutt’italia?

«Per le reti internet si sono fatte gare al massimo ribasso, con il risultato che l’azienda vincitrice non ha fatto gli investimen­ti necessari per andare avanti nei tempi previsti. Anche perché il costo di quegli investimen­ti era più alto delle penali per i ritardi. Ma così si crea il divario digitale e un modello di sviluppo concentrat­o in alcune aree urbane ad alta densità. Lo vediamo che svantaggio è per gli abitanti delle zone sfavorite, le aree interne, il non avere un’infrastrut­tura digitale moderna. Vale per il Sud, come per il Centro-nord».

Ursula von der Leyen dice al «Corriere» che ci sono 11 miliardi di fondi europei che l’italia non potrebbe più usare, ma ce li lascia. Per cosa?

«La frase della presidente della Commission­e era un po’ imprecisa. Quelle risorse non erano perse ed eravamo già impegnati a spenderle. Ma abbiamo bisogno di mobilitare tutte le risorse disponibil­i, per questo è fondamenta­le usare per l’emergenza anche quei fondi: acquisto di attrezzatu­re medicali, sostegno al reddito dei lavoratori e misure di inclusione, sostegno alla liquidità delle imprese, anche sul circolante. Ma l’unione europea non pensi di cavarsela solo con le poche risorse della politica di coesione o l’allentamen­to sugli aiuti di Stato, pur necessario».

Cos’altro può fare l’europa?

«L’italia non può finanziare illimitata­mente a debito questa crisi. Per uscirne abbiamo bisogno di un piano europeo di investimen­ti coordinato. Ecco perché gli eurobond o un uso del fondo salvataggi Mes depurato da ogni condiziona­lità». La Germania accetterà queste idee?

«Non siamo più nella logica del 2011. Il Patto di stabilità è sospeso, oggi l’europa come vincolo non esiste più. Si è aperta una partita politica nuova e Germania e Italia si trovavano già entrambe in difficoltà prima della pandemia, ma ora una risposta europea coesa diventa davvero essenziale. Fuori dal tempo mi sembrano semmai i sovranisti: gli stessi che non volevano l’europa, ora protestano perché non ce n’è abbastanza».

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Resilienza Piazza Dante a Napoli. Sulla cancellata che circonda la statua del sommo poeta un cartello: «L’amore vince su tutto»
Coesione territoria­le Resilienza Piazza Dante a Napoli. Sulla cancellata che circonda la statua del sommo poeta un cartello: «L’amore vince su tutto»
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