Corriere della Sera

Mattia torna a casa: «Si può guarire»

Il 38enne di Codogno, primo caso accertato in Italia, dimesso dall’ospedale dopo 18 giorni in rianimazio­ne: sono stato fortunato, la cosa più bella è respirare

- Simona Ravizza sravizza@corriere.it

Il ritorno a casa del «Paziente Uno» è nel segno della speranza, nonostante la drammatici­tà dei giorni che stiamo vivendo: «Da questa malattia si può guarire». Mattia, dopo più di un mese d’ospedale, lascia il San Matteo di Pavia, come anticipato dal Corriere. Lo fa con un messaggio vocale inviato da Regione Lombardia ai media, ai quali il 38enne si rivolge esplicitam­ente per invitarli a rispettare la privacy sua e della famiglia: «Lo chiedo per favore a tutti. Perché vorremmo proprio piano piano dimenticar­e questa brutta esperienza e tornare alla nostra normalità».

Ma siccome Mattia suo malgrado oggi è il simbolo che il dannato virus può essere sconfitto, le sue parole devono servire anche da monito: «Io sono stato molto fortunato

Iquattro pulmini bianchi arrivano incolonnat­i nel parcheggio dell’albergo vicino al fiume Serio, e tutti scendono. Da lontano sembra una gita scolastica, se non fosse per il silenzio, le mascherine, i camici di qualcuno, i saluti col gomito. La brigata medica «Henry Reeve», arrivata da Cuba, comprende un responsabi­le della logistica e 35 medici, di cui 23 specialist­i in medicina generale, 3 pneumologi, 3 specialist­i in terapia intensiva, 3 infettivol­ogi e 3 specialist­i dell’emergenza. Con loro, 15 infermieri, di cui 7 intensivis­ti.

Hanno trascorso la mattina all’ospedale Maggiore di Crema e nel nuovo ospedale da campo, che il 3° Reparto Sanità «Milano» ha appena finito di montare e attrezzare. Hanno visitato i reparti, conosciuto i colleghi. Guida il gruppo il dottor Carlos Ricardo Pérez Diaz. Un’aria da quarantenn­e studioso, una giacca a vento nera troppo grande, una di quelle che i negozi di abbigliame­nto di Crema, coinvolti via Facebook dal sindaco Stefania Bonaldi, hanno regalato agli ospiti cubani, arrivati con abiti leggeri. Ci sediamo, l’intervista­to stabilisce le distanze («Un metro y medio»), abbassiamo le mascherine. Sabrina Grilli, reporter cremasca dell’emittente Cremona1, accende la telecamera (il video su Corriere TV).

Tento nella vostra lingua, dottore. Muchas gracias por haber venido hasta aqui. Os estamos muy agradecido­s. Grazie di essere venuti fino qui. A Crema vi siamo riconoscen­ti. Il viaggio?

«È andato bene, tutti sono stati gentili e siamo riusciti a riposare in volo. Ci hanno dato il benvenuto in aeroporto e ci hanno trasferito a Crema». perché ho potuto essere curato. Ora potrebbero non esserci medici, personale, mezzi per salvarti la vita — scandisce Mattia che per Covid-19 ha perso il padre —. Da questa mia esperienza le persone devono capire che è fondamenta­le stare in casa. La prevenzion­e è indispensa­bile per non diffondere l’infezione. Questo può significar­e anche allontanar­si dai propri cari e dagli amici, perché non sappiamo chi può essere contagioso». Così nella storia a lieto fine irrompe la ferita di una Regione con le Terapie intensive al collasso (anche se i posti letto sono stati raddoppiat­i utilizzand­o ogni spazio libero), la corsa ad arruolare nuovi medici, i contagi che rallentano ma sono ancora centinaia al giorno.

Il bilancio dell’ultimo mese della vita di Mattia è dai ricordi sfuocati, ma scandito da ciò che gli hanno raccontato, primo tra tutti il paziente con cui ha condiviso la stanza negli ultimi giorni al San Matteo, un rianimator­e contagiato per aiutare quelli come lui: «È difficile dopo questa esperienza fare un racconto di quello che mi è successo. Ricordo il ricovero in ospedale a Codogno.

Mi hanno raccontato che per 18 giorni sono stato in Terapia intensiva, per poi essere trasferito nel reparto di Malattie infettive dove ho ricomincia­to ad avere un contatto con il mondo reale e a fare la cosa più semplice e bella, che è respirare».

La voce è limpida, il tono pacato come quando giovedì scorso confessa ai medici: «L’unico desiderio che ho è potere assistere alla nascita di mia figlia». I dottori gliel’hanno assicurato e la promessa è mantenuta: «Io devo dire grazie al professor Raffaele Bruno, ai rianimator­i e a tutto il 18

Giorni

Sono quelli trascorsi dal «Paziente 1» in terapia intensiva all’ospedale San Matteo di Pavia prima di essere trasferito nel reparto di malattie infettive

Sono le persone finora risultate positive soltanto nel Lodigiano, dove vive il «Paziente 1» (che ora va tolto dal conteggio) personale dell’ospedale di Pavia e Codogno che con la loro profession­alità mi hanno permesso di tornare a vivere».

Adesso Mattia guarda alla sua prossima sfida, essere in sala parto con la moglie (anch’essa guarita dal coronaviru­s e quasi al termine della gravidanza). Quando giovedì scorso i due si vedono per la prima volta dopo la notte del 20-21 febbraio, il momento in cui tutto è iniziato, a separarli c’è il vetro della camera d’ospedale. Venti minuti densi di emozioni e commozione, in cui ancora non si possono abbracciar­e. Oggi è diverso. E mai come oggi un abbraccio può assumere un valore speciale. Della vita che ritorna. Con il sorriso di G., la figlia che sta per nascere. d

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