Calciopoli, Giraudo ricorre in Europa «Alla mia difesa dati solo 7 giorni»
Torino, l’ex ad della Juventus sospeso a vita si rivolge alla Corte per i diritti dell’uomo
La storia infinita (di calciopoli) è arrivata all’ultima puntata, dopo 13 anni abbondanti: Antonio Giraudo, 73 anni, ex amministratore delegato della Juve sospeso a vita dalla Federcalcio, ha infatti presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Davanti ai tribunali del pallone italiano, «ci fu una macroscopica violazione dei diritti della difesa», per non parlare della «ragionevole durata del processo», riassumono i suoi legali, l’avvocato torinese Amedeo Rosboch e quello belga Jeanlouis Dupont, l’uomo che con «la sentenza Bosman» ribaltò il mondo del calcio.
L’iter si annuncia lungo — «per il primo step ci possono volere anche mesi» — ma le conseguenze potrebbero essere clamorose: «Una decisione favorevole aprirebbe una voragine, per calciopoli», dice l’avvocato Rosboch. Anche se azzerare tutto, processi, squalifiche e, quindi, gli scudetti requisiti alla Juve, pare piuttosto complicato, nonostante la Corte europea abbia abituato anche a sentenze dirompenti, come quella sull’ex 007 Bruno Contrada, nel 2015.
La Cedu è chiamata a risolvere questioni giuridiche che riguardano l’essenza stessa dello Stato di diritto che, sostiene ancora l’ex ad bianconera, il processo di calciopoli avrebbe scalfito: in particolare, l’italia avrebbe violato l’articolo 6 della Convenzione, quello che garantisce l’accesso a un tribunale precostituito per legge e il diritto a un giusto processo. Poiché — è l’ipotesi su cui si basa il ricorso — avrebbe consentito alle federazioni sportive di creare giurisdizioni disciplinari non «precostituite per legge», che non garantirono i diritti fondamentali di Giraudo e dei suoi legali: «Furono lasciati soltanto 7 giorni per predisporre le difese, tempo insufficiente anche solo per la lettura di un fascicolo di oltre 7.000 pagine». E ancora, i giudici in ambito disciplinare avrebbero fatto riferimento alla stessa autorità — il presidente della Federcalcio — alla quale era sottoposta la Procura, ossia l’organo dell’accusa.
«Il formulario di ricorso» alla Cedu è stato depositato solo ora poiché, per appellarsi alla Corte europea è necessario aver prima esaurito tutti i gradi di appello statali: ovvero, Tar, Consiglio di Stato, e sezioni civili unite della Cassazione, la cui pronuncia era arrivata lo scorso 2 ottobre 2019. E dopo sei mesi — il prossimo 2 aprile — sarebbe scaduto il termine per ricorrere in Europa. L’altro requisito, per non vedersi bollato come «inammissibile» il ricorso (come spesso accade), è di aver già sollevato le stesse eccezioni in Italia: dove le azioni legali di Giraudo sulla sanzione sportiva erano sempre state respinte, perché di competenza dell’ordinamento sportivo. «Ma durante calciopoli furono violati diritti fondamentali», sottolinea l’avvocato Rosboch. La saga italiana si era chiusa, appunto, con la bocciatura di tutti i ricorsi di Giraudo contro la «preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Figc», decisa dalla Corte di giustizia federale e confermata dall’alta Corte di Giustizia sportiva del Coni, nel 2012. Sempre per «difetto di giurisdizione». In sede penale, la condanna dell’ex ad juventino — un anno e otto mesi in Appello — era stata annullata senza rinvio dalla Cassazione, per prescrizione. Sul tavolo dei giudici della Cedu — se il ricorso verrà ammesso — ci sarà anche la «ragionevole durata del processo», che per i difensori non ci fu, visti gli oltre 13 anni. Questioni di principio che, nel diritto, possono diventare sostanza.