Ilva, tutti in cassa a Genova ma a Taranto è scontro
A Cornigliano c’è l’accordo, in Puglia i sindacati si appellano al prefetto: ridurre l’attività
L’acciaieria 1 ferma da ieri, lo stop dell’altoforno 2 avviato venerdì scorso. Ma ai sindacati non basta: all’ilva — che non rientra tra le aziende che dovranno chiudere fino al 3 aprile in base all’ultimo decreto, perché tra quelle a ciclo continuo — vogliono che l’attività di Taranto sia ridotta al minimo o, almeno, con una cassa integrazione Covid-19 estesa a 5 mila unità sulle 8.200 complessive, dopo che nella scorsa settimana le presenze al siderurgico di Taranto
sono state già sensibilmente ridotte a 3.600-3.800 unità al giorno. «Arcelormittal non ha risposto alla nostra richiesta di ridurre ulteriormente le attività dello stabilimento di Taranto almeno sino al 3 aprile. E quindi — spiega Biagio Prisciano della Fim Cisl — ci siamo rivolti al prefetto di Taranto, l’autorità di governo a livello territoriale investita di responsabilità per quanto riguarda l’ultimo Dpcm in materia di attività industriali».
Allo stabilimento di Genova Cornigliano, invece, l’accordo è stato trovato: la cassa integrazione Covid-19 è stata ufficializzata ieri ed è retroattiva a partire dal 16 marzo, con durata 9 settimane. Al contempo l’azienda ha ritirato la contestata cassa integrazione per crisi aziendale che aveva aperto a febbraio per 130 lavoratori che aveva provocato proteste e minacce di manifestazioni da parte dei lavoratori. Alcune decine di lavoratori rimarranno nello stabilimento per garantire la sicurezza degli impianti e per dare modo alle navi ormeggiate di poter ripartire con il loro carico.