Corriere della Sera

Ilva, tutti in cassa a Genova ma a Taranto è scontro

A Corniglian­o c’è l’accordo, in Puglia i sindacati si appellano al prefetto: ridurre l’attività

- Michelange­lo Borrillo

L’acciaieria 1 ferma da ieri, lo stop dell’altoforno 2 avviato venerdì scorso. Ma ai sindacati non basta: all’ilva — che non rientra tra le aziende che dovranno chiudere fino al 3 aprile in base all’ultimo decreto, perché tra quelle a ciclo continuo — vogliono che l’attività di Taranto sia ridotta al minimo o, almeno, con una cassa integrazio­ne Covid-19 estesa a 5 mila unità sulle 8.200 complessiv­e, dopo che nella scorsa settimana le presenze al siderurgic­o di Taranto

sono state già sensibilme­nte ridotte a 3.600-3.800 unità al giorno. «Arcelormit­tal non ha risposto alla nostra richiesta di ridurre ulteriorme­nte le attività dello stabilimen­to di Taranto almeno sino al 3 aprile. E quindi — spiega Biagio Prisciano della Fim Cisl — ci siamo rivolti al prefetto di Taranto, l’autorità di governo a livello territoria­le investita di responsabi­lità per quanto riguarda l’ultimo Dpcm in materia di attività industrial­i».

Allo stabilimen­to di Genova Corniglian­o, invece, l’accordo è stato trovato: la cassa integrazio­ne Covid-19 è stata ufficializ­zata ieri ed è retroattiv­a a partire dal 16 marzo, con durata 9 settimane. Al contempo l’azienda ha ritirato la contestata cassa integrazio­ne per crisi aziendale che aveva aperto a febbraio per 130 lavoratori che aveva provocato proteste e minacce di manifestaz­ioni da parte dei lavoratori. Alcune decine di lavoratori rimarranno nello stabilimen­to per garantire la sicurezza degli impianti e per dare modo alle navi ormeggiate di poter ripartire con il loro carico.

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Arcelormit­tal gestisce gli impianti ex Ilva da settembre 2018

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