Stipendi, pronti i tagli del calcio La A vuole ridurli fino al 30 per cento Fondo di garanzia per chi guadagna poco
La serie A, sempre più convinta che la stagione non ripartirà, ha un piano e un obiettivo per arrivare al taglio degli stipendi: coinvolgere le Leghe europee e sollecitare l’uefa per puntare al risparmio del 30 per cento degli emolumenti.
Limitare i danni, in attesa di capire cosa ci riserva il destino, è la preoccupazione del momento. Oggi, con un giorno di ritardo, da via Rosellini invieranno alla Federcalcio la documentazione sullo stato dell’arte al tempo del coronavirus. Tra i 12 punti in agenda per fronteggiare la crisi c’è l’ipotesi di una parziale defiscalizzazione sul costo degli ingaggi e la creazione di un fondo di garanzia per chi guadagna poco. Il piano è chiaro: non chiedere soldi al governo, ma neppure il governo deve chiederne al calcio.
I prossimi saranno giorni importanti. La Federcalcio sta facendo un lavoro di sintesi e venerdì presenterà un dossier, con le documentazioni delle Leghe, al ministro dello Sport Spadafora.
Sul taglio degli stipendi la Confindustria del pallone cerca un approccio di sistema quanto più ampio possibile e prenderà contatto con le consorelle europee, Germania e Francia, Spagna e Inghilterra. Proprio quello inglese potrebbe essere il nostro modello. La Premier ha giocato il 75 per cento delle gare e se non ripartirà intende decurtare gli stipendi del 25 per cento. La Lega di A, più o meno, userebbe lo stesso criterio. Sinora abbiamo giocato 26 giornate su 38 (salvo i recuperi), cioè due terzi della stagione, così il taglio sarebbe del 30 per cento, con un risparmio complessivo lordo di 465 milioni. Il taglio non sarà uguale per tutti, ma pensato per fasce di reddito. Serve però una normativa ad hoc del governo.
La serie A non intende fermarsi qui. Come è successo per l’europeo, slittato al 2021, vuole chiedere all’uefa una sorta di regolamento trasversale, coinvolgendo la Fifpro, ovvero il sindacato europeo dei calciatori.
Quello domestico, cioè l’aic, prende tempo. La linea di Tommasi e del suo vice Calcagno è di attendere per capire quale sarà la portata del danno e lo ha ribadito nel Consiglio direttivo di ieri. Un conto è se si riuscirà a finire la stagione e in che modo, un altro è se invece la serie A e il calcio in generale fossero costretti a arrendersi al coronavirus. La Deloitte ha stimato un danno di 720 milioni se non si riprenderà a giocare e uno tra i 140 e i 300 se si arriverà in fondo. Tommasi ha già fatto sapere che i giocatori, con senso di responsabilità, non si tireranno indietro. Ma non è il momento di parlarne. Senza contare che, qualunque accordo il sindacato raggiungesse, potrebbe essere sconfessato da ogni singolo giocatore.
La Lega confida nel buon senso di tutti, ben sapendo che ciascuna parte in causa dovrà pagare qualcosa. Anche la Federcalcio, Gravina lo ha già detto, non considera un tabù il taglio di una parte degli emolumenti anche se considera affrettate le mosse dei presidenti. La Figc potrebbe diventare una sorta di intermediario nella trattativa domestica. Ma è chiaro che su un argomento così delicato e potenzialmente esplosivo servirà l’intervento del governo.