Il «Match» di Arbasino dimostrò che la buona tv è possibile
O ggi non si può non parlare di Alberto Arbasino, maestro di intelligenza, di stile, di passione letteraria. Lui, soavemente cosmopolita, che ha trattato con la stessa grazia e ironia la vita bassa, il tanga, l’infradito, le sneakers, il leopardato, il loft, il cool, il mansardato e i mostri sacri della letteratura, regalandoci mitici ritratti dal vivo, conversazioni à bâtons rompus, affondi critici (eravamo ancora neorealisti e lui già sbeffeggiava Antonioni e Visconti), perfidie squisite.
Oggi non si può non ricordare il programma Match (1977) dove Arbasino, effervescente e impeccabile padrone di casa, invitava nel proprio salotto due personaggi che avevano in comune la professione o l’inclinazione artistica e li metteva a confronto. «La novità saliente del programma (ideato da Arnaldo Bagnasco, ndr) è costituita dal tipo di articolazione del duello vero e proprio: i due antagonisti avranno ciascuno quindici minuti a disposizione per intervistarsi l’un l’altro, ed è perciò alle reciproche domande e risposte che è affidato l’esito in vivacità e interesse di ogni match», scriveva il Radiocorriere.
La prima puntata è dedicata al teatro: seduti l’uno di fronte all’altro ci sono Giorgio Albertazzi e Memè Perlini; per la letteratura lo scontro, molto cavalleresco, è tra Alberto Moravia e Edoardo
Sanguineti. Arbasino rende affascinante un programma raffinato e approfondito; il conduttore ha inoltre il merito di far discutere in tv di medicina due protagonisti prestigiosi, Paride Stefanini e Albano Del Favero, di cinema Mario Monicelli e Nanni Moretti, di economia Romano Prodi e Francesco Forte, di architettura Paolo Portoghesi e Leonardo Benevolo; personaggi che, senza autopromuoversi con il libro sottobraccio (come diverrà di moda nei salotti tv), parlano del proprio lavoro e delle proprie idee.
In dieci puntate Arbasino aveva dimostrato che non era impossibile fare buona tv.