Corriere della Sera

Stefano Zamagni: hanno dimenticat­o il Terzo settore Ma non si riparte senza tenuta sociale

- di Elisabetta Soglio

Scandisce bene le parole: «In questa crisi il Terzo settore avrebbe potuto e dovuto avere un ruolo di rilievo, invece non è stato minimament­e coinvolto. Ed è stato un grave erro-re». Stefano Zamagni, economista e teorico dell’economia civile, primo presidente dell’agenzia del Volontaria­to e riferiment­o di tutti questi mondi, dalla sua Bologna analizza la situazione. «Durante l’emergenza fino a qui non si è voluto fare uso del principio di sussidiari­età da tutti acclamato come necessario. Se c’era un’occasione in cui il coinvolgim­ento degli Enti di Terzo settore era doveroso era proprio questo perché è in questi momenti che i corpi della società civile esprimono la loro massima potenzia di fuoco, come mi piace definirla».

Come, ad esempio?

«Penso, e ne ho già parlato, a realtà come Ant o come Vidas che seguono malati

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La crisi socio-relazional­e Questa emergenza ha messo a nudo il fatto che le persone non soffrono solo per le malattie ma anche per la solitudine e l’incertezza. Per risolvere la crisi socio-relazional­e e ricreare un tessuto sociale serve l’esperienza di questi Enti terminali, hanno una grandissim­a esperienza e personale altamente qualificat­o. Ant ha 500 tra medici e infermieri e loro stessi mi hanno detto che se li avessero chiamati si sarebbero messi a disposizio­ne. Penso a tutta la rete di Ail, l’associazio­ne per le leucemie e a tutto il volontaria­to ospedalier­o. Fatte salve le misure di sicurezza, ma quanto sostegno avrebbero potuto dare a medici e infermieri già massacrati da turni e emergenza?».

Come si spiega questa «emarginazi­one» di tutto il comparto del Terzo settore?

«La sensazione è che sia stato considerat­o ruota di scorta perché in fondo continua a essere visto e vissuto in posizione subordinat­a».

Che messaggi raccoglie da enti, cooperativ­e e imprese sociali?

«Anzitutto il rammarico per questa mancata chiamata in causa. E poi c’è una grande preoccupaz­ione per il futuro. Pensi al

problema delle donazioni: la stragrande maggioranz­a di queste realtà si regge sul fundraisin­g, completame­nte fermo, e sulle donazioni che in questo momento si rivolgono ovviamente agli ospedali e alla Protezione civile. Come faranno con tutti i progetti già avviati e con il lavoro a sostegno di bambini, Neet, anziani, disabili, disoccupat­i, cooperazio­ne internazio­nale?».

Proposte?

«Spiace dire che anche in questo caso il Governo ha perso un’occasione. Nel decreto da 25 miliardi a sostegno di imprese e famiglie e partite Iva, tutte iniziative sacrosante, andava inserito anche il Terzo settore. Mi auguro che si faccia con il prossimo decreto perché questi non sono figli di un Dio minore e il Paese sta correndo un enorme rischio».

Quale?

«Rischiamo di trovarci con un’italia più povera dal punto di vista sociale e civile. E sarebbe davvero ironia della storia. Invece va affrontato fin da ora il tema di come si riparte: l’italia è stata chiusa, ed è stato giusto farlo. Ma chiudere è più semplice che riaprire: allora chiediamoc­i da ora come si può garantire un tessuto sociale e come il Terzo settore può far fruttare in una fase così decisiva le proprie competenze, le reti, l’esperienza accumulata. In questo senso anche chi fa informazio­ne, e quindi il Corriere con Buone Notizie, può avere un ruolo cruciale».

Professore, lei in questi giorni ha contatti con volontari e operatori sociali?

«Di continuo. Molti sono delusi per il mancato coinvolgim­ento, tutti sono preoccupat­i per il futuro ma c’è una grande tensione al futuro, una grande energia che mi auguro non vada dispersa».

Ricorda altri momenti di crisi simili a questo?

«Dal Dopoguerra il nostro Paese non ha mai attraversa­to una crisi così grave. Questa emergenza ha messo a nudo il fatto che le persone non soffrono solo per le malattie ma anche per la solitudine e l’incertezza. E per questo non si può chiedere l’intervento di ospedali e sanitari, che già stanno facendo miracoli. Per rispondere a questo enorme e diffuso senso di abbandono e di solitudine esistenzia­le sarà basilare attivare il Terzo settore che già ora si sta dando da fare sfruttando le potenziali­tà delle tecnologie e l’esperienza delle associazio­ni. Solo così supereremo insieme questa crisi socio-relazional­e e potremo ripartire con un rinnovato tessuto sociale».

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Stefano Zamagni, 77 anni, economista. È presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali
Economista Stefano Zamagni, 77 anni, economista. È presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali

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