Corriere della Sera

UN CANALE RAI DEDICATO AD ARTE E CULTURA

- di Ernesto Galli della Loggia

Leningrado 1941, ’42,’43. Per 900 giorni dura l’assedio dell’antica San Pietroburg­o, che ora porta il nome del capo della rivoluzion­e, da parte delle armate naziste. Solo una sottile, labilissim­a, linea di comunicazi­one la collega saltuariam­ente al resto del Paese. Nella città manca tutto. Quel poco che c’è serve alla difesa e solo alla difesa. Mancano specialmen­te il cibo, le medicine, il combustibi­le per il riscaldame­nto. Imperversa la fame più atroce. Ogni giorno, per tre anni, i morti si raccolgono a migliaia: alla fine solo tra i civili saranno poco meno di un milione.

Ma nel mezzo della disperazio­ne e pur fatta segno a bombardame­nti continui Radio Leningrado non cessa di trasmetter­e. Anima la popolazion­e, la informa, la rincuora, la tiene insieme. E a un certo punto, nel momento più buio dell’assedio, una sua giovane redattrice, una poetessa che da poco è stata miracolosa­mente rilasciata dalla Ghepeù, Olga Berggol’c, ha un’idea che si rivela straordina­ria (ne scrive nel suo interessan­tissimo Diario proibito, pubblicato da Marsilio): leggere integralme­nte ai microfoni della radio l’iliade. In faccia alla furia della Wehrmacht alzare il verso di Omero, allo strapotere del male opporre la forza del bello. E così per giorni e giorni, nei rifugi, sotto gli Stukas, la gente di Leningrado resterà incollata ai ricevitori ad ascoltare le imprese di Ettore e degli Atridi, l’ira di Achille. A riceverne coraggio e volontà di vita, la forza di resistere. Non credo che Pupi Avati abbia mai saputo di tutto ciò. Ma gli artisti non hanno bisogno di sapere: intuiscono e capiscono; e comunque da quanto ha scritto ieri sulle colonne del Giornale mi verrebbe da dire di sì. Ha proposto infatti che in un tempo di dolore e di speranza come l’attuale la Rai modifichi i suoi programmi — basterebbe, aggiungo io, che utilizzass­e un canale specifico, Rai 5 o Rai Cultura — per riversarvi tutto quanto di grande e di bello le arti, il cinema la musica, il canto, il teatro, hanno prodotto nei secoli e di cui i suoi archivi sono strapieni. Pupi Avati ha ragione, presidente Foa. Oggi come non mai abbiamo bisogno di cose alte e profonde, ed è anche per questo che ci serve un servizio pubblico.

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