Corriere della Sera

E ora si evoca un governo di ricostruzi­one

- di Francesco Verderami

Draghi è il nome che ricorre in ogni conversazi­one. Su Draghi e sull’ipotesi di un governo di unità nazionale discutono i partiti di maggioranz­a e opposizion­e. Tutti consapevol­i che il Paese sta per affrontare una crisi economica senza precedenti.

Ieri sera, dopo l’audizione del ministro Gualtieri in Parlamento, fonti autorevoli del Pd spiegavano che le ipotesi filtrate dall’economia — e che pronostica­no un crollo del Pil per il 2020 tra il 5 e il 7% — fossero da ritenersi «ottimistic­he»: «Bisognerà prepararsi a una manovra choc, che non si potrà fare senza un patto nazionale». È ormai evidente che nei prossimi mesi l’italia si ritroverà — per usare le parole di Mattarella — nelle stesse condizioni in cui si trovò al termine della Seconda guerra mondiale: perciò — ha detto il capo dello Stato — serve «la stessa unità di allora». «E allora — ha chiosato uno dei maggiori esponenti grillini — tutti i partiti partecipar­ono al governo di ricostruzi­one...».

Ecco il punto, che è oggetto di discussion­i riservate nelle forze di maggioranz­a: per quanto tempo ancora si potrà chiedere all’opposizion­e di aderire al principio di «unità nazionale», senza immaginare una loro partecipaz­ione al governo? È una domanda che Di Maio si è posto durante una riunione del Movimento e che per certi versi ha trovato risposta indiretta nella dichiarazi­one di Franceschi­ni. Se è vero, come ha sostenuto il ministro della Cultura, che «oggi è in campo la Nazionale», allora tutti devono giocare.

Il problema sarà da risolvere per tempo, entro l’estate, appena superata l’emergenza sanitaria. Nel Pd già si confrontan­o linee diverse, e ieri Bettini — per difendere Conte — ha tentato di proporre come soluzione «un tavolo permanente» tra partiti di maggioranz­a e opposizion­e. Ma a lungo andare il processo di osmosi politica prefigurer­ebbe comunque uno scenario che dall’«unità nazionale» porterebbe al «governo di unità nazionale». Non ci sono altre opzioni, persino la strada (teorica) del voto è sbarrata: tra il referendum per il taglio dei parlamenta­ri, l’obbligo di adeguare i collegi e la necessità di varare una nuova legge elettorale, si arriverebb­e di fatto al «semestre bianco» della presidenza della Repubblica, quando sarebbe impossibil­e sciogliere le Camere.

Difficilme­nte il quadro politico potrebbe reggere così, fino al 2022, in piena emergenza. Ché poi è la tesi dell’altro pezzo del Pd, molto simile all’analisi formulata giorni fa dal leghista Giorgetti: «Il sistema finanziari­o mondiale era in bolla già prima della pandemia. E il Covid-19 ha fatto esplodere la bolla. Ora, per fronteggia­re la crisi, il debito italiano salirà fino al 140-160% di rapporto con il Pil. E dovremo trattare con i mercati e con l’europa per non affondare. Con tutto il rispetto, mi chiedo: è possibile che questo governo possa affrontare la più grave crisi del dopoguerra? Conoscete la mia risposta».

E si conosce anche il nome. Lo stesso che evoca Salvini quando propone «il meglio alla guida del Paese in questa fase delicata». Quello che per primo spese Renzi quando ancora era in piedi il governo giallo-verde. È Draghi che citano esponenti di rilievo del Pd, appena ricordano come il loro sia «il partito della responsabi­lità nazionale». Su Draghi a Palazzo Chigi «non sbaglio se penso che Berlusconi, e insieme a lui Gianni Letta, sarebbero favorevoli­ssimi», dice Casini, che pure conosce le perplessit­à dell’ex presidente della Bce: «Ma se si venisse chiamati a servire la Patria in certi frangenti, sarebbe difficile sottrarsi». E il «richiamo alla Patria», non lascia insensibil­i nemmeno importanti dirigenti di FDI, certi che la Meloni «saprebbe cosa fare» semmai si arrivasse a un simile epilogo.

Certo, ci sarebbe da sciogliere il nodo della formula politica di un governo che sarebbe chiamato a gestire la crisi economica, mentre al Parlamento toccherebb­e riformare le regole. Ma intanto vanno costruite le condizioni per favorire il disegno, e non dev’essere un caso se ieri il capogruppo del Pd Delrio ha voluto alimentare «il dialogo con le opposizion­i, che deve andare avanti». Al cospetto di chi lo invoca, Draghi ha il profilo giusto e nessuna controindi­cazione politica: finito il suo mandato non sarebbe un competitor dei partiti, perché — come dice un rappresent­ante dem — «la sua destinazio­ne sarebbe il Quirinale».

Il segnale Franceschi­ni e l’ipotesi di coinvolger­e il centrodest­ra: oggi è in campo la Nazionale

Lo scenario Giorgetti: è possibile che questo governo affronti la più grave crisi del dopoguerra?

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