Corriere della Sera

Fare la coda per il pane: a cinquant’anni

Fino a ieri era la più evoluta, brillante e ricca città d’italia. Oggi è la capitale mondiale del virus La sua «dolce vita» è fra le vittime dell’epidemia

- Di Antonio Scurati

Come posso convincere mia moglie che, mentre guardo fuori dalla finestra, sto lavorando? — si chiedeva Joseph Conrad al principio del secolo scorso. Io, invece, mi chiedo: come posso spiegare a mia figlia che, quando guardo fuori dalla finestra, vedo la fine di un’epoca? L’epoca in cui lei è nata ma che non conoscerà, l’epoca del più lungo e svagato periodo di pace e prosperità goduto dalla storia dell’umanità.

Vivo a Milano, fino a ieri la più evoluta, ricca e brillante città d’italia, una delle più desiderabi­li al mondo. La città della moda, del design, dell’expo. La città dell’aperitivo, che ha regalato al mondo il Negroni sbagliato e la happy hour e che oggi è la capitale mondiale del Covid-19, il capoluogo della regione che da sola conta trentamila contagi accertati e tremila morti. Un tasso di letalità del 10 per cento, le bare accatastat­e davanti ai padiglioni degli ospedali, una pestilenza vaporosa che aleggia sulle guglie del suo Duomo come sulle città maledette delle antiche tragedie greche. Le sila rene delle ambulanze sono diventate la colonna sonora dei nostri giorni; le nostre notti sono tormentate da uomini adulti che frignano nel sonno: «Cosa c’è, ti senti bene?»; «Niente, non è niente, torna a dormire». Migliaia dei lori amici, parenti, conoscenti tossiscono fino a sputare sangue, da soli, fuori da ogni statistica e da qualsiasi assistenza, nei letti dei loro monolocali arredati da architetti di grido.

Se, in questo istante, guardo fuori dalla finestra, vedo un povero minimarket gestito con ammirevole laboriosit­à da immigrati cingalesi. Fino a ieri era una singolare anomalia in questo quartiere semicentra­le, e a suo modo elegante, una nota stonata. Oggi è un luogo di pellegrina­ggio. In coda per il pane davanti alle sue vetrine spoglie, vedo uomini e donne che fino a ieri lo disdegnava­no perché sprovvisto della loro marca preferita di crusca. Sostano, sorretti dalla disciplina dello scoramento, a un metro di distanza l’uno dall’altro, al tempo stesso minacciosi e minacciati, con mascherine di fortuna, ricavate da brandelli di tessuto con il quale, fino a ieri, proteggeva­no le piante esotiche dei loro terrazzi, garze sfilacciat­e che pendono dai loro volti con la malinconia floscia di scampoli di un’epoca finita.

Vedo questi uomini e queste donne tristi, incongrui a loro stessi. Li guardo. Non ho nessuna intenzione di sminuirli o deriderli. Sono uomini e donne adulti eppure sopra le mascherine mostrano lo sguardo sgomento di bambini deprivati. Sono arrivati del tutto impreparat­i all’appuntamen­to con la loro storia eppure, proprio per questo motivo, sono donne e uomini coraggiosi. Hanno fatto parte del pezzetto di umanità più agiato, protetto, longevo, meglio vestito, nutrito e curato che abbia mai calcato la faccia della terra e, adesso, giunti ai cinquant’anni, sono in coda per il pane.

Il loro apprendist­ato alla vita è stato un lungo apprendist­ato all’irrealtà televisiva. Avevano vent’anni quando hanno assistito dal salotto di casa alla prima guerra in diretta televisiva della storia umana, trenta quando sono stati bersagliat­i attraverso gli schermi televisivi dal terrore mediatico, quaranta quando l’odissea dei dannati della terra è approdata alle spiagge delle loro vacanze. Tutti appuntamen­ti fatidici che non potevano non mancare. Le grandi scene della loro esistenza si sono consumate in eventi mediatici, sono stati guerrieri da salotto, bagnanti sulle spiagge dei migranti, reduci traumatizz­ati da serate trascorse davanti alla tv. E ora sono in coda per il pane.

loro infanzia è stata un manga giapponese, la loro giovinezza un party in piscina — ricordi? Era sabato sera e si andava a una festa; era sempre sabato sera e si andava sempre a una festa — la loro età adulta un tributo a una trinità insulsa e feroce: frenesia del lavoro, estasi dell’outlet, sublime da centro benessere. Hanno vissuto bene, meglio di chiunque altro, ma più vivevano e più erano inesperti della vita: mai conosciuto il morso della guerra, mai sfiorati dal sentimento tragico dell’esistenza, mai un interrogat­ivo sul loro posto nell’universo. E adesso, a cinquant’anni, con i capelli già bianchi, gli addomi prolassant­i e l’ansia che impaccia i loro polmoni, sono in coda per il pane. Turisti compulsivi, hanno girato il mondo senza mai uscire di casa e adesso la loro casa segna per loro i confini del mondo; hanno sofferto quasi solo drammi interiori e adesso il dramma della storia li catapulta sulla linea del fuoco di una pandemia globale; hanno la casa al mare e il cellulare di ultima generazion­e eppure adesso sono in coda per il pane; hanno avuto più cani che figli e adesso rischiano la vita per portare il loro barboncino a pisciare.

Li guardo dalla finestra del mio studio mentre scrivo. Li osservo mentre i decessi salgono a quattromil­a, mentre l’ascissa del contagio cresce esponenzia­lmente, mentre trattengo il respiro per non inalare l’aria del tempo. Li guardo e li compiango perché sono stati la generazion­e più fortunata della storia umana ma, poi, gli è toccato di vivere la fine del loro mondo proprio quando iniziavano a diventare troppo vecchi per sperare in un mondo a venire.eppure dovranno farlo, lo faranno, ne sono sicuro. Dovranno immaginare il mondo che sono stati costretti a sperimenta­re in questi giorni: un mondo che s’interroghi su come educare i propri figli, su come preservare un’aria respirabil­e, su come prendersi cura di se stessi e degli altri. Un’epoca è finita, un’altra comincerà. Domani. Oggi si sta in coda per il pane. Oggi i quotidiani titolano: resisti Milano! E Milano resiste.

Getto un ultimo sguardo dalla finestra ai miei coetanei cinquanten­ni, ai miei concittadi­ni milanesi, ai miei ragazzi improvvisa­mente invecchiat­i: quanto sono grandi e patetici con le loro scarpe da runner e le loro mascherine chirurgich­e! Provo pietà, li comprendo, li compatisco. Fra pochi secondi sarò in coda insieme a loro.

I cinquanten­ni in coda per il pane hanno avuto drammi solo interiori, cellulari e case al mare, più cani che figli: a questo appuntamen­to si trovano impreparat­i

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Cancelli chiusi Tra le restrizion­i entrate in vigore a Milano c’è la chiusura dei parchi (ma questa foto è scattata a Dallas, in Texas)

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