Corriere della Sera

Quelle parole che ci aiutano nelle difficoltà

Sono irritanti le opinioni del tutto sbagliate di alcuni intellettu­ali, ma si può trovare conforto nelle rare dichiarazi­oni di chi aiuta coloro che soffrono

- Di Guido Tonelli

Confesso che sono arrabbiato. Vivo, come tutti, giornate di infinita tristezza per le migliaia di vittime e le indicibili sofferenze dei malati. Sono devastato al pensiero di così tante persone che ci lasciano in questo modo terribile, boccheggia­ndo, cercando spasmodica­mente di riempire d’aria polmoni che non funzionano più. Non riesco a distoglier­e il pensiero dallo strazio dei parenti che non hanno potuto tenerli per mano, né baciarli sulla fronte o carezzarli durante l’agonia per farli sentire meno soli.

Mi hanno fatto infuriare alcune prese di posizione pubbliche che risultano tanto più irritanti in quanto provengono da intellettu­ali, persone che, in queste circostanz­e così drammatich­e, proprio per il ruolo che ricoprono, dovrebbero mostrare rigore di pensiero e senso di responsabi­lità nell’uso delle parole.

Mi riferisco alle farneticaz­ioni di Giorgio Agamben che parla esplicitam­ente dell’invenzione di un’epidemia: «Ci sono state in passato epidemie più gravi, ma nessuno aveva mai pensato a dichiarare per questo uno stato di emergenza come quello attuale, che ci impedisce perfino di muoverci». Parole cui fa eco una recente intervista di Fausto Bertinotti, che già ai primi di marzo tuonava contro lo strangolam­ento delle autonomie regionali da parte dello Stato nazionale e ora se ne esce con l’ineffabile: «In tutta Europa non esiste una lettura da sinistra del virus, come combatterl­o e quale via d’uscita proporre».

Non riesco a capire come ci sia ancora qualcuno che vuole ascoltare l’opinione di Maria Rita Gismondo, direttrice del reparto di Microbiolo­gia clinica dell’ospedale Sacco di Milano. La stessa che proprio nei giorni cruciali di fine febbraio, quando si sarebbe dovuto prendere decisioni più incisive che oggi ci avrebbero risparmiat­o migliaia di morti, imperversa­va su tutti i mezzi di comunicazi­one con le sue affermazio­ni rassicuran­ti «È una follia questa emergenza. Si è scambiata un’infezione, appena più seria di un’influenza, per una pandemia letale». Non capisco come sia possibile fare affermazio­ni così gravi, che si sono rivelate completame­nte sbagliate, e continuare a rilasciare interviste, mentre dovrebbe limitarsi a un laconico «Ho sbagliato, vi chiedo scusa, dal profondo del cuore».

Fortunatam­ente ho trovato conforto in una serie di notizie che mi danno speranza e fiducia nel futuro. Sapere che più di settemila medici si sono offerti per andare negli ospedali di frontiera della Lombardia dove si combatte ogni giorno per salvare vite rischiando la propria. Sentire di tecnici e operai che lavorano giorno e notte per ampliare i posti di terapia intensiva ed equipaggia­rli di nuovi ventilator­i polmonari. Sapere di migliaia di giovani che fanno la spesa per gli anziani che abitano nelle vicinanze per evitare loro di correre rischi.

Vedere che anche il popolo più indiscipli­nato del mondo rispetta regole che limitano fortemente la vita di tutti perché ha capito che stiamo vivendo una tragedia immane. Sono tutti fatti che danno consolazio­ne in questi giorni tremendi.

Poi è venuta lei, Elena Pagliarini, 40 anni, l’infermiera di Cremona che è stata fotografat­a alle sei del mattino, crollata sul computer, sfinita, dopo una notte passata in terapia intensiva a cercare di strappare decine di pazienti alla morte per soffocamen­to. Le sue prime parole sono state:

C’è addirittur­a chi, dopo aver fatto affermazio­ni fuorvianti, non si scusa e continua a rilasciare interviste

«Mi scuso con tutti, il turno non era ancora finito ma ero stremata». E quando l’intervista­tore le chiede «Ma voi, medici e infermieri che siete a contatto quotidiano con questo virus così pericoloso, avete paura?» risponde, con naturalezz­a: «Sì, abbiamo paura di morire, viviamo con il terrore di contagiare i nostri cari, pensiamo ogni giorno che domani potrebbe toccare a noi di essere intubati. Ma continuiam­o a farlo, perché aiutare chi soffre è il nostro dovere». Ecco che Elena Pagliarini, dentro una tragedia immane, mentre alcuni intellettu­ali vacillano e sproloquia­no, ci fa un grande regalo, dona a tutti noi un grande discorso. Di quelli che i greci chiamavano «megaloi logoi», che sempre più raramente capita di ascoltare.

Ne parla Hannah Arendt, in Vita Activa, e quando deve scegliere un esempio di «grandi discorsi» cita Achille, nell’accampamen­to degli Achei. Come tutti gli eroi omerici Achille ama la vita, la bellezza, e il vigore della giovinezza ma non si sottrae al suo destino. Guarda in faccia la vita, consapevol­e di tutta la sua durezza e sa che non ha altra scelta che rimanere e combattere attorno alle mura di Troia. Sottolinea la Arendt che solo chi è autore di grandi imprese può pronunciar­e grandi discorsi, che non sono discorsi aulici, pieni di belle parole. È un grande discorso quello che pronuncia Antigone di fronte a Creonte, dopo aver seppellito il corpo del fratello e violato la legge degli uomini. E lo può pronunciar­e perché ha avuto il coraggio che i suoi concittadi­ni non hanno avuto.

I «megaloi logoi» sono i discorsi che ci aiutano a rispondere ai colpi inferti dalla sorte. Lei, Elena Pagliarini, ci ha regalato un grande discorso, di quelli che ci aiutano a vivere in questi momenti così difficili. Per questo la voglio ringraziar­e. Grazie a gente come lei comincio addirittur­a a pensare che, se sapremo fare tesoro di questa tremenda catastrofe che ci ha colpito, può anche darsi che la società che ne uscirà potrà essere meno superficia­le e meno ingiusta di quella che in questi giorni rimpiangia­mo.

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