Corriere della Sera

«Così a Brescia rivivo la strage»

- Di Giovanni Bianconi (Ansa)

ABrescia i numeri della strage da coronaviru­s continuano a crescere, 6.298 contagiati accertati e 887 morti, determinan­do un clima che per alcuni versi ricorda — tra similitudi­ni e differenze — un’altra strage che ha segnato la storia della città e del Paese: la bomba neofascist­a di piazza della Loggia, 28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti. Manlio Milani fu testimone, sopravviss­uto e vittima di quell’eccidio in cui perse la moglie Livia e alcuni dei più cari amici; lui si salvò per caso e oggi, a 81 anni compiuti, guarda attonito e preoccupat­o alla carneficin­a e alla paralisi provocata dal Covid-19. Che uccide persone conosciute, amici e amici di amici.

Che cosa accomuna la strage di oggi a quella di 45 anni fa?

«La morte improvvisa, che porta con sé il mancato accompagna­mento alla fine della vita da parte di familiari e amici. Oggi per questo virus si muore negli ospedali da soli, senza l’assistenza e il saluto affettuoso dei propri cari, nemmeno dopo il decesso. Lasciando in chi resta un vuoto che ricorda ciò che accadde a noi in piazza Loggia; una mutilazion­e a cui non si è preparati e provoca quasi dei sensi di colpa per non aver potuto dare alle persone scomparse tutto ciò che avresti voluto. È il sentimento che emerge dai necrologi sui giornali, ai quali si affidano pensieri che non si sono potuti condivider­e con le persone scomparse».

C’è anche l’intreccio tra destini personali e collettivi ad avvicinare le due stragi?

«Certo, sia pure nella differenza tra un’epidemia e un atto terroristi­co indiscrimi­nato. Il male e il dolore che provoca colpisce solo alcuni, ma riguarda tutti. Quando il 28 maggio tornai dall’obitorio mi sentii dire “siamo tutti colpiti”; erano morti mia moglie e i miei amici, ma poteva morire chiunque fosse in piazza quel giorno, come negli altri attentati. Il virus, come la bomba, aggredisce indistinta­mente».

La reazione a quello che sta accadendo, invece, è diversa da quella di allora.

«Dopo la bomba dovemmo mettere i nostri corpi insieme, uscire dalle case per difendere la democrazia; gli stessi funerali divennero un rito identitari­o e rappresent­arono la prima risposta della società civile. Oggi, all’opposto, la giusta risposta è stare isolati; partecipar­e rimanendo chiusi in casa. Ma l’obiettivo è comune a quello di allora: difendere la convivenza futura e dare una prospettiv­a diversa alle nuove generazion­i».

Per la strage del ’74 avete combattuto oltre quarant’anni, ma siete arrivati all’accertamen­to della verità; anche stavolta Brescia sarà in grado di reagire?

«All’epoca riuscimmo a superare le divisioni iniziali e le fratture accentuate dalla strage, che solo col tempo è diventata un patrimonio comune, al di là delle divisioni politiche. Oggi come allora deve prevalere l’idea di ricostruir­e insieme, senza rinunciare alle idee ma pensando al bene comune».

Per voi i funerali furono un rito identitari­o, oggi non si possono celebrare.

«È un ulteriore elemento di sofferenza, che aumenta il vuoto provocato dalla mutilazion­e improvvisa. La visione angosciant­e di quelle bare trasportat­e di notte sui camion militari, accompagna­te solo dai rumori dei mezzi di trasporto, le fa sembrare per

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Ieri e oggi

Noi uscimmo di casa per difendere la democrazia, oggi bisogna stare isolati Ma l’obiettivo è lo stesso certi aspetti abbandonat­e a sé stesse più di quelle dei migranti morti a Lampedusa. Una solitudine che porta i familiari dei deceduti a comunicarn­e per quanto possibile la scomparsa, a recuperarn­e l’umanità anche solo riproducen­done i nomi sui giornali».

Come si possono superare questi momenti di solitudine?

«Credo che dovrà venire il momento di un riconoscim­ento pubblico a tutte queste vittime, ma intanto c’è la solidariet­à; quella verso chi è impegnato in prima linea, come medici e infermieri, e quella che si esprime mantenendo i giusti comportame­nti a protezione di noi stessi e degli altri. Mi pare che questo sia stato compreso, quando esco la mattina per andare in edicola a comprare i giornali incontro pochissime persone. Può servire a riscoprire un’idea di Stato che non sa solo impartire ordini ma anche stimolare il senso di responsabi­lità».

È un auspicio anche per il futuro?

«Sì. C’è da augurarsi che questo patrimonio di solidariet­à non vada disperso in nome di interessi di bottega, ma serva a stimolare riflession­i sulle carenze e sulle priorità a cui le istituzion­i e la politica sono chiamate a dare risposte. Per esempio al sovraffoll­amento delle carceri, riemerso in occasione di questa emergenza; o all’immigrazio­ne: questa vicenda ha dimostrato che non ci sono confini da difendere per proteggerc­i, e mi auguro che certi slogan del passato non vengano ripresi. Ed è importante la centralità del Parlamento, nella gestione di questa crisi e soprattutt­o nella ricostruzi­one che dovrà venire dopo».

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Medici e infermieri degli Spedali Civili di Brescia indossano mascherine, occhiali e le speciali tute per il bioconteni­mento
Reparto Covid Medici e infermieri degli Spedali Civili di Brescia indossano mascherine, occhiali e le speciali tute per il bioconteni­mento
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Manlio Milani, 81 anni
Testimone Manlio Milani, 81 anni

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