Corriere della Sera

Cresce il pizzo 4.0 Criminalit­à sempre più online

- Di Alessia Cruciani

Lo smart working si è rivelato una grande opportunit­à. E gli italiani hanno gestito il cambio culturale in tempi rapidi. Eppure, quanta più gente lavora da remoto, tanti più varchi si aprono per i cybercrimi­nali, perché dati e connession­i sono trasferiti nell’ambiente domestico, non protetto come quello aziendale. Non a caso è già stato registrato un picco negli attacchi informatic­i e una crescita di quello che è definito il “pizzo 4.0”: gruppi di hacker si infilano nei computer di un’azienda e, minacciand­o la diffusione di dati o di bloccare l’attività, chiedono un riscatto. Un pagamento in bitcoin, non tracciabil­e.

Facendo seguito a una tendenza in continua crescita fin da giugno del 36% in Italia, il numero degli attacchi si è impennato nelle ultime settimane (+60% le richieste di consulenza cybersecur­ity). A farne le spese in particolar­e le aziende quotate in Borsa, quelle con un know how coperto da brevetto o con informazio­ni confidenzi­ali. Approfitta­ndo delle tante notizie sul Covid-19, si inviano mail di phishing sul tema (si usano anche sms e Whatsapp) che inducono l’utente a cliccarci sopra. «In tal modo si attaccano le back door all’interno dei computer aziendali — spiega Mirko Gatto, ceo di Yarix, divisione Digital Security di Var Group, specializz­ato in soluzioni ICT per imprese — .Tra gli attaccanti ci sono gruppi meno preparati ma nella maggior parte dei casi si tratta di organizzaz­ioni criminali strutturat­e, con notevoli capacità tecniche, e il vantaggio del fattore tempo. Un attacco può durare mesi prima che arrivi a conclusion­e: gli hacker entrano nella rete, catturano le password dei device aziendali e, appena pronti, “sparano per uccidere”, paralizzan­o l’azienda».

Attenti alle email

Di solito l’estorsione digitale è comunicata con una mail o un avviso sul desktop del cliente che trova le istruzioni per prendere contatto con l’attaccante e l’entità del riscatto. In Italia le richieste variano in base alle dimensioni dell’azienda: dagli 80 mila euro ai 5 milioni. «Nei mesi scorsi siamo intervenut­i dopo che era stata paralizzat­a l’infrastrut­tura informatic­a di Firenze Fiera, permettend­o di rientrare in possesso del patrimonio di dati e di sottrarsi a una richiesta di riscatto pari a 4 milioni di euro in bitcoin», aggiunge il ceo di Yarix. Che puntualizz­a: «È fondamenta­le che siano esperti a intervenir­e nella “scena del crimine”. Alcuni clienti erano riusciti a salvaguard­are il back up e hanno ripristina­to tutto. Ma gli hacker hanno attaccato ancora facendo perdere tutto. Ci sono pratiche da seguire altrimenti si rischia di peggiorare l’entità del danno». In genere, dopo 2-3 giorni dall’intervento si riesce a far ripartire le aziende. Alcune sono invece state costrette a pagare perché, se si perde tutto, non c’è possibilit­à di recupero.

La notifica al garante è d’obbligo in caso di perdita o fuoriuscit­a di dati, secondo quanto stabilito dal regolament­o europeo sulla privacy , la Gdpr. Se invece i dati sono stati criptati e si possono recuperare tramite backup non è necessario comunicare l’attacco. Ma i criminali ormai minacciano di pubblicare i dati sul darkweb, per provocare così un importante danno d’immagine, la cui gravità è proporzion­ale all’importanza del brand.

«Per questo noi suggeriamo sempre di non tenere nascosto l’incidente, si evitano brutte figure con gli stakeholde­r», conclude Gatto. Ricordando l’importanza della prevenzion­e.

d Doppio danno Sotto attacco ci sono spesso anche i back up degli utenti

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Mirko Gatto, 44 anni, ceo di Yarix (Var Group)

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